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"Mi è dovuto!"

Uno sguardo sulla ferita delle Pretese


Immagina di sentirti speciale e “superiore” agli altri, di avere la certezza che tutto ciò che desideri ti spetti, che ogni cosa ti sia dovuta.

E immagina che chi ti circonda sia disposto ad accontentarti e ad avverare ogni tuo desiderio. Un paradiso diresti, no??

In realtà non proprio.

Quello che, in apparenza, può sembrarti un parco giochi è invece una grande prigione sia per chi lo vive in prima Persona, ma soprattutto per chi sta a contatto con la ferita della Pretesa.

Per rendere l’idea in maniera veloce, anche se assolutamente non del tutto esatta, chi vive questa ferita è molto vicino al “narcisista tipo”. Ti sarà capitato di dire di qualcuno che è narcisista, che vede solo se stesso, che si atteggia in maniera antipatica trattandoti come se fossi la sua pezza da piedi, giusto? Bene, l’effetto che questa ferita suscita negli altri è, in sostanza, un po’ lo stesso.

Proprio per questo, è molto difficile che chi ce l’ha chieda aiuto proprio perché nella maggior parte dei casi non c’è una reale consapevolezza: se arriva nella stanza di terapia di solito è costretto da un familiare o, come spesso succede, è un partner portato dentro perché l’altro minaccia di lasciarlo se non cambia.

Questo rende una tale ferita molto difficile da avvicinare, proprio perché la difficoltà più grande sta proprio nel riconoscerla come tale da parte di chi la vive. Come potrai immaginare, sarà molto complesso mettersi in discussione e, ancora peggio, andare a rintracciare le origini possibili di un tale vissuto. Vissuto che, spesso, è una controreazione a degli altri tipi di ferite che non arrivano alla consapevolezza.

 

Andiamo alle origini

 

Da cosa può essere causata questa ferita?

Se parliamo in generale degli “ingredienti” che, probabilmente, sono mancati nella tua crescita dobbiamo riferirci al limite e alla tolleranza della frustrazione.

Hai mai assistito a qualche scena da supermercato? La scena tipo da supermercato è quella di un bambino che urla disperato perché vuole quello specifico dolcetto: magari si contorce buttandosi per terra, e la mamma o il papà lo guardano mortificati cercando di calmarlo dandogli lo stesso dolcetto per cui lui sta facendo il diavolo a quattro. Dolcetto che non vorrà più nello stesso momento in cui lo ottiene, per passare a fare i capricci su un’altra cosa.

Cosa è successo in questa scenetta? I genitori in questione non sono riusciti a passare al povero figlioletto il senso del limite, cioè il messaggio che tutto e subito non esiste, che ci sono dei confini che non si possono oltrepassare, che ci sono delle regole che vanno rispettate.

E, quindi, se per caso riceve un no il bambino va di matto perché non ha imparato certe cose e, soprattutto, si dis-regola. Le urla, i gesti di aggressività o qualsiasi altro comportamento che ti sembra fuori dalle righe ha a che vedere con una difficoltà importante a tollerare le frustrazioni e gestire gli impulsi.

Perché se nessuno mi ha insegnato a regolare le mie emozioni e a vivermi la frustrazione normale che la vita regala a tutti i comuni mortali, nel momento in cui sperimenterò un senso di frustrazione a vari livelli reagirò con impulsività, in un modo tale da dover eliminare quella sensazione.

Da piccolo è urlare, calciare, piangere, buttarsi per terra; e da grande, magari, questo si trasforma nel bere, mangiare in maniera compulsiva, avere scoppi di rabbia importanti, adottare comportamenti pericolosi e via dicendo.

Se seguiamo gli spunti di riflessione contenuti nel libro “Reinventa la tua vita” di Jeffrey Young, possiamo immaginare che la trappola delle Pretese si sviluppi in 3 direzioni.

La prima direzione è quella della Persona che possiamo definire “viziata”: come già detto prima è una Persona che ha sperimentato un’educazione priva di limiti, regole e tolleranza della frustrazione. Questo è il caso di quelle famiglie dove il figlio diventa il principe indiscusso, oltre che il dittatore assoluto, e viene accontentato e assecondato in qualsiasi cosa.

Quel bambino imparerà che non esiste il no, che avrà qualsiasi cosa chiede, che tutto gli spetta di diritto perché lui è speciale, che non ci sono limiti e si può raggiungere tutto ciò che si desidera a livello materiale e non.

Altra direzione possibile è quella delle Pretese legate alla dipendenza: ci sono famiglie iper-protettive con i loro figli, genitori pronti a sostituirsi ad essi eliminando ogni possibile ostacolo dalla loro quotidianità, focalizzati a “proteggere” il povero bimbo indifeso.

Tutto questo, ovviamente, crea nel figlio una dipendenza importante che, per assurdo, può diventare Pretesa. Detto in altri termini, se mi insegni a dipendere da te e a sentirmi incapace di fare da sola/o, io inizierò a convincermi che questa “assistenza” mi spetti, che sia mio diritto avere qualcuno a mia disposizione pronto ad aiutarmi nella vita in quanto “bisognosa/o”.

Ultima direzione è quella del contrattacco: spesso la Pretesa è una risposta di coping ad altri tipi di ferite come quella del Rifiuto, dell’Inadeguatezza o della Perfezione.

Per intenderci, se mi sento uno zero potrei, invece, convincermi di essere speciale e migliore degli altri, iniziando a pretendere un trattamento di favore o creandomi dei diritti che in realtà non esistono. Oppure, se ho la ferita della Perfezione, potrei iniziare ad assumere comportamenti impulsivi e disregolati come reazione alla rigidità e al controllo che sento di aver sottosoglia.

Tutto questo finalizzato a non sentire la reale ferita che sta sotto la maschera che mi metto su, e via dicendo.

 

Segni e segnali

 

Le nostre ferite lasciano dei segni evidenti, nel corpo nella psiche e nelle relazioni.

Una fetta importante del mondo della psicologia sostiene che il corpo sia il teatro d’azione della maggior parte delle nostre ferite e dei nostri traumi. Questa è in sostanza la posizione della psicosomatica, della bioenergetica e di tutti quegli approcci che mettono anche il corpo al centro dell’osservazione e dell’intervento sulla Persona.

Posizioni molto attuali, che ci insegnano a guardare il corpo e i suoi segni, come anche tutti i “malesseri” fisici, con un’attenzione particolare alle loro origini psichiche.

Ritorno a citare il libro di Lise Bourbeau, nel quale lei descrive i tratti fisici e le malattie più frequenti di chi vive determinate ferite. 

Prendi tutto questo con le pinze, ovviamente. Ognuno di noi è unico e ha la sua storia, che non può ridursi ad una forma del corpo o ad una lista di sintomi ma, senza dubbio, ci sono degli aspetti caratteristici che ci possono aiutare a leggerci anche dal punto di vista fisico.

Proprio perché la ferita delle Pretese potrebbe essere collegata ad altre ferite, possiamo trarre delle indicazioni di massima che, per forza di cose, non possono essere esaustive o definite in maniera netta.

Se andiamo a guardare i segni fisici, sono Persone che hanno un corpo proporzionato, la maggior parte delle volte tenuto in forma e tonico. La postura è diritta e fiera, quasi scultorea. Parliamo di un corpo possente, forte, fiero, che ti viene incontro quasi in maniera dominante.   

L’impressione è, però, anche quella di un corpo teso e rigido: anche qui non è infrequente trovare rigidità mascellare, glutei contratti, schiena e collo rigidi. Il loro sguardo è penetrante, a tratti seducente, e vivo, come se tenessero gli occhi bene aperti per farsi ammirare.   

Infine sono Persone che possono essere soggette a disturbi sessuali, o che hanno a che vedere con il controllo o la perdita del controllo; possono anche essere soggette a stress con nervosismo e soffrire di malattie legate alla sfera cutanea. 

Se andiamo a vedere i segni psichici più evidenti di questo tipo di ferita, ritroviamo in primis un forte egocentrismo: siamo davanti ad una scarsa, se non del tutto assente, capacità di mettersi nei panni degli altri e ciò che prevale è una visione unidirezionale dove tutto è riportato alla propria Persona e ai propri bisogni.

Per questo motivo, sono Persone che fanno fatica ad accettare i no e si arrabbiano molto se non ottengono ciò che vogliono, o se le cose non vengono fatte come dicono loro. Mettono i loro bisogni al primo posto e si sentono speciali rispetto gli altri, non accettando le normali regole e “costrizioni” del vivere comune.

Questo, come già visto, potrebbe portarle ad agire di impulso, a non avere pazienza e a non rispettare le regole, ad assumere comportamenti disregolati ed improntati agli eccessi. E, proprio per questa difficoltà a tollerare le frustrazioni, tendono a non saper posticipare il piacere, fanno fatica a portare a termine dei compiti soprattutto se per loro noiosi o ripetitivi.

Vicino all’aspetto del discontrollo, paradossalmente, troviamo anche quello della rigidità: nell’essere Persone “narcisiste”, infatti, è possibile che siano anche molto inflessibili. Se ti senti perfetta/o e speciale, diventi inflessibile e rigida/o soprattutto con gli altri: tu sei la legge, e la tua legge deve essere rispettata alla lettera!

<<O così o niente!>>: questa potrebbe essere una frase adatta a riassumere l’aspetto dell’inflessibilità, proprio perché sono Persone che hanno un approccio di pensiero rigido, nel senso che faticano a trovare le vie di mezzo, i punti di incontro o i grigi in genere nella loro vita.

A livello interno sono Persone che tendono a vivere le emozioni in maniera “eccessiva”, soprattutto quelle più complesse come la rabbia o la frustrazione. Non è infrequente, infatti, assistere a degli scoppi di rabbia molto forti o a delle vere e proprie esplosioni emotive nel momento in cui sentono che qualcuno non le tratta come si aspettano.

E qui veniamo ai segnali relazionali tipici di chi ha questa ferita: l’altro è uno strumento. Capisco che, forse, questa frase può essere forte, ma credo che renda bene l’idea. L’altro è uno strumento perché è lì per soddisfare i miei bisogni, per assecondare me, per assistermi, per farmi sentire speciale, per darmi la gratificazione di cui ho bisogno, per eliminarmi la frustrazione.

L’altro non è quasi mai visto in quanto tale perché manca proprio la reciprocità: se dovessimo fare una sorta di caricatura è come se chi ha la trappola delle Pretese sia seduto su una sorta di trono e tutto il resto del mondo è prostrato ai suoi piedi.

Capisci bene che, di fronte a questo tipo di situazione, è molto difficile entrare in relazione profonda e, come accade spesso, l’incastro che si crea è quello di un “narcisista” che si accoppia con un dipendente, un sottomesso, o una Persona che si sente inadeguata.

Tutto questo finchè non arriva il momento in cui si esaurisce la pazienza e chi sta vicino al “re assoluto” molla la presa e diventa abbandonico, se non apertamente critico e arrabbiato. Questo è il momento in cui finiscono i matrimoni o si interrompono delle relazioni proprio perché, venendo meno un dato equilibrio, la Persona che ha la trappola delle Pretese non riesce ad andare oltre mettendosi in gioco per smussare alcuni aspetti che fanno soffrire il partner.

 

Prendersi cura della ferita della Pretesa

 

Come puoi bene immaginare non ci sono miracoli o ricette precostituite per curare le tue ferite. Quello che si può fare è imparare a conoscerle, a prescindere dal tipo di ferita che ti caratterizza.

Conoscere una ferita significa iniziare a leggere ciò che sei, i tuoi pensieri emozioni e comportamenti alla luce di quella ferita e attraverso quella ferita.

Immagina di avere davanti un grande puzzle e di dover piano piano trovare i pezzi per comporre l’opera: avvicinare la propria ferita assomiglia un po’ a questo processo di ricerca e avvicinamento rispetto ad un qualcosa sul quale non hai mai riflettuto e che è sempre venuto fuori in automatico.

Conoscere la propria ferita ci permette, poi, di andarla ad inserire in un quadro più ampio, quello della nostra storia personale e delle nostre origini. Non siamo monadi staccate dall’ambiente e dalle relazioni, ma siamo anche e soprattutto il frutto delle nostre relazioni e del contesto in cui viviamo: ordinare i pezzi del puzzle significa, perciò, tentare di rintracciare dei collegamenti tra presente e passato, creare dei “ponti” che ci permettano di leggere il nostro presente alla luce del nostro passato.

Questo è un passaggio fondamentale che si fa in psicoterapia: ci permette di usare ciò che ci fa male oggi come “gancio” per ritornare all’origine delle nostre ferite e, qui, risanarle man mano.

Dopo la conoscenza, quindi, il passaggio successivo è quello dell’ascolto e dell’accoglienza: non basta conoscere la nostra storia e le nostre ferite per lenirle, bisogna davvero accoglierle dentro di noi dando loro voce.

Dare voce ad una ferita significa far parlare quella parte di te che sta male, che magari non ha avuto modo di farlo in passato e che adesso ha la possibilità di essere compresa e accolta. Dare voce alla ferita significa anche “passarle attraverso”, vivendo finalmente tutto il dolore che questa si porta dietro, per poi superarlo: come dico spesso, medicare una ferita brucia ma, una volta superato il momento, quella medicazione diventa l’unica possibilità di guarigione che abbiamo.

 

Per quanto riguarda, nello specifico, la ferita delle Pretese, abbiamo già visto come la tua stessa ferita ti rende molto difficile, se non impossibile, l’idea di rivolgerti ad un professionista. A volte, succede che sei portata/o a chiedere aiuto su invito di qualcuno a te molto vicino che arriva all’esasperazione e ti chiede di fare un percorso.

Non entro nel merito di queste dinamiche per non spostare il focus, e adesso ti invito a riflettere su alcuni punti che, magari, possono aiutarti a vedere la tua ferita e prendertene cura.   

 

1. Rintraccia nel tuo passato delle situazioni simili a quella di malessere o difficoltà che vivi adesso. Se, per esempio, il tuo partner ti manifesta una certa sofferenza per come lo tratti, prova a rintracciare una situazione passata simile o dove hai provato tu la stessa cosa che sente il tuo partner.   

2. Guarda se stai andando in contrattacco. Prova a chiederti se sotto il tuo sentirti così speciale c’è, invece, una mancanza di qualche tipo o un senso di inadeguatezza. Prova a lasciarti andare a questo sentire, dai voce a ciò che arriva. 

3. Fai parlare la tua ferita. Nel momento in cui hai trovato quella situazione passata che ti ha suscitato degli stati d’animo simili a quelli del presente, e che hai identificato cosa può esserci sotto la maschera del “narcisismo”, fai parlare quella parte di te del passato provando a farle dire come si è sentita davvero, cosa stava succedendo e, soprattutto, di cosa aveva bisogno.

4. Dai voce ai tuoi bisogni più profondi. Una volta che ti sei connessa/o con la parte ferita dentro di te permettile e permettiti di esprimere tutta la rabbia o il rammarico per ciò che le è successo. Poi prova a dire cosa la farebbe sentire meglio oggi, e cosa potrebbe aiutarla a non sentire quel disagio.  

5. Guardati con compassione. In continuazione del punto precedente, nel momento in cui arrivi ad identificare il tuo bisogno profondo, che magari può essere quello di essere amata/o o supportata, inizia ad entrare in contatto con la parte di te bambina. Inizia a decentrarti un po’ partendo proprio dal dare la giusta legittimità a quella parte infantile di te, e prova oggi a fare un po’ tu il genitore di cui ha ancora bisogno e che magari le è mancato. 

6. Togliti la maschera. Se sei riuscita/o a sentire davvero il dolore che ti ha accompagnato per una vita intera prova a liberartene un pochino: non hai più bisogno di proteggerti dietro la maschera dell’egocentrismo.  

7. Decentrati. Proprio perché la tua difesa più importante è l’egocentrismo prova a lasciarlo un po’ andare. Inizia a concentrarti di più sugli altri, esercita l’ascolto e l’empatia, chiediti di cosa hanno bisogno loro.   

8. Esercita la pazienza. Uno scoglio molto grande di chi vive questo tipo di ferita è proprio quello della regolazione e del controllo degli impulsi. Prova a fare una sorta di elenco di tutte quelle “regole” che vivi come frustranti ma che puoi provare a tollerare: mettile in ordine di difficoltà dalla più facile alla più difficile e prova ad esercitare la tua pazienza provando a rispettarle. Infine trova dei “ganci” che ti possano aiutare a calmarti e rilassarti, regolando le tempeste emotive di cui senti di essere vittima.  

 

Mi rendo conto che il discorso sia molto complesso e articolato, e ho provato a condensarlo in poche pagine pur rendendomi conto di aver messo sul fuoco forse anche troppa carne.

Ti lascio due testi utili se vuoi approfondire il discorso:

Le 5 ferite e come guarirle”, di Lise Bourbeau.

Reinventa la tua vita”, di J. E. Young e J.S. Klosko.

 

 

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.