Attraversare il dolore per superarlo
L’aspetto più frequente che ritrovo quando sono nella stanza di terapia può essere riassunto in questa frase: <<meglio non pensarci>>.
Meglio non pensare a cosa?
A tutto ciò che ci fa soffrire, ai problemi, alle cose che nella nostra vita non vanno come vorremmo.
E preferiamo lasciarci vivere, giorno dopo giorno, portando un peso invisibile che, però, non fa altro che portarci sempre più giù se non lo guardiamo.
Usando un gioco di parole, è molto doloroso sentire dolore.
E, proprio per questo, tendiamo spesso ad evitare di guardare in faccia la nostra realtà, preferiamo illuderci che quel qualcosa non esista, magari ci abbuffiamo di cibo per non pensare, o ci facciamo venire l’ansia per cose di poco conto così almeno siamo distratti dal vero nucleo del nostro malessere.
Quanto tempo fa hai pianto? Non che questa sia una misura della quantità di sofferenza che ti porti dentro, ma frequentemente è un indice importante del tuo rapporto con le tue ferite e della tua “rigidità”.
Piangere vuol dire abbandonarsi, fidarsi di poter attraversare un’emozione che poi passa. Fidarsi che prima o poi finisce. E non sempre questo è possibile o agevole per molte persone. Spalle erette, mascella serrata, pugni chiusi: anche il corpo ti dice che devi trattenere, che non puoi mollare, non devi cedere.
E perché mai? Perché, forse, hai imparato che non si deve piangere, che se ti abbandoni al dolore poi non ne esci più, che se ti mostri ferita/o agli altri poi diventi vulnerabile.
In terapia questo si traduce nella fatica a stare con i vissuti più pesanti, nella tendenza a cambiare discorso o a minimizzare certe esperienze, nella resistenza che spesso si mostra quando senti che vorresti piangere e, invece, ridi con gli occhi lucidi …
Mettere la testa sotto la sabbia
Farlo è più facile e più comodo, inutile negarlo. Non ti aiuta a risolvere nulla, ma almeno fai finta di vivere. Mettere la testa sotto la sabbia è protettivo: gli struzzi lo fanno quando sentono arrivare una minaccia sperando di mimetizzarsi con l’ambiente in modo da non essere aggrediti.
Immagina di portarti in giro una specie di corazza: senza dubbio ti protegge, ma nello stesso tempo non ti fa entrare davvero in contatto con te stessa/o e con gli altri. Magari appari come una Persona “tutta d’un pezzo”, forte, che ha sempre una soluzione, che non si abbatte mai, che non vacilla.
Ma la brutta notizia è che una Persona così non esiste. Non può esistere.
Ed è come se avessi una ferita che sanguina in corpo e la lasciassi così senza medicarla solo perché brucerebbe un sacco, senza metterci qualcosa per disinfettare e cicatrizzare. È vero che fa malissimo, ma se provi ad avere il coraggio di medicare la tua ferita poi guarisce.
Come mai mettiamo la testa sotto la sabbia? Come già detto, in primis perché a volte tirarla fuori può fare molto male. Ma credo che il qui il punto fondamentale della questione non sia tanto il dolore in sé ma l’estrema paura di non superarlo.
Non sai quante volte mi sento dire “se vado nel fondo poi non mi rialzo più”, o “se mi permetto di piangere poi non smetto più e la mia vita si blocca” … in questi casi non si è ancora rafforzata la fiducia in se stessi e nel fatto che il dolore si può vivere e superare.
Anzi, il dolore si può vivere proprio per superarlo. Sembra una banalità per certi versi, ma se non lo vivi non lo superi mai.
E, soprattutto, a volte cresciamo imparando che non possiamo farcela, che non siamo in grado di gestire o vivere certe cose, che se entriamo in certi “baratri” poi non ne usciremo mai più.
È un apprendimento disfunzionale, spesso molto difficile da scardinare se cerchiamo di convincerci del contrario. Forse la soluzione è cambiare rotta, modificare il tuo modo di leggere la tua storia di vita e, di conseguenza, anche le tue resistenze.
Forse potremmo iniziare a dire che le tue resistenze al lasciarti andare, al piangere, al sentire il tuo dolore arrivano da molto lontano e ti hanno aiutato tantissimo nel passato. Magari un tempo eri troppo piccola/o per guardare in faccia certe cose, e allora metterci il velo del “non è successo” ti ha permesso di crescere e di arrivare fino a qui …
Magari in passato non avresti ricevuto il supporto che meritavi e, quindi, era meglio non viversi la fragilità perché se no avresti avuto il deserto intorno. O, ancora, magari qualcuno ti ha insegnato che sei ok solo se sei forte e non cadi mai o, ancora peggio, ti hanno insegnato che tu non puoi stare male se no fai stare male qualcun altro.
Come vedi mettere la testa sotto la sabbia è un comportamento molto frequente, che ha radici profondissime e una storia importante che va trattata con molta cura e rispetto. Per questo, tutte le volte che arriva una resistenza trattala bene, ringraziala per il duro lavoro che ha fatto per te fino ad ora.
Chiediti solo se questa resistenza ti serve ancora nel tuo presente, o se può rimanere nella tua vita in un modo diverso, o in maniera più flessibile intervenendo a proteggerti solo se e quando ce ne sarà davvero bisogno.
Attraversare il dolore
Hai mai lavato la macchina in quelle grosse strutture dove tu resti dentro l’abitacolo e la macchina avanza sotto il getto d’acqua e le spazzole che si muovono all’impazzata? Ok, attraversare il dolore vuol dire questo.
So che è una metafora forse poco calzante, ma a me in genere aiuta tanto.
Sei dentro la macchina perché tu hai scelto di lavarla in quel modo: ormai sei dentro e non puoi più fare nulla per uscire finchè il lavaggio non è terminato. Non puoi fare altro che stare lì, vedere e sentire il getto d’acqua che ti copre la visuale e poi lasciarti ondeggiare dalle spazzole che massaggiano la tua macchina.
Dopo circa 10 minuti tutto si ferma, la tua macchina rivede la luce del giorno e tu puoi rimettere in moto per proseguire con la tua vita.
Attraversare il dolore significa un po’ questo: stare nel bel mezzo di un turbinio, passare attraverso il getto d’acqua ghiacciata del tuo dolore, farti frizionare forte da spazzole che scompongono e agitano. E poi, una volta attraversato il tunnel, uscire fuori più “pulito” di prima.
E cosa dovresti fare per attraversare il dolore? Essere, solo essere. Cioè stare con tutto quello che arriva da dentro di te senza bloccare nulla, senza opporre resistenza, senza scappare da quel sentire.
Farà male, agiterà, spezzerà il cuore? Probabilmente si, ma in qualche modo il dolore che vivi ti rigenera.
Seconda cosa, prova a trasformare il tuo dolore in significato: se stai molto male per qualcosa significa che questo qualcosa per te è molto importante.
Cosa ti dice di te il tuo dolore? Quali sono le cose per te importanti e di valore? A cosa tieni così tanto da stare così male quando lo perdi? E se hai perso, invece, parti di te chiediti che Persona vuoi essere? Quali sono gli aspetti di te che senti importanti e che vuoi coltivare?
Accogliere rimanendo lì e trovare un senso: queste le due sfaccettature che potrebbero aiutarti ad attraversare il tuo dolore.
Infine, terzo e ultimo aspetto su cui vorrei farti riflettere è quello della condivisione. Non chiuderti in te stessa/o, non rimanere da sola/o.
E’ vero che il processo di attraversamento del dolore è personale e nessuno può farlo al tuo posto, ma il tuo vissuto può essere più gestibile nel momento in cui lo condividi.
Spesso l’aspetto più difficile della questione è, invece, proprio questo: non ci fidiamo abbastanza di noi stessi e degli altri per mostrarci feriti, facciamo fatica a piangere davanti a qualcuno, ci vergogniamo, pensiamo di apparire deboli e vulnerabili. O, magari, siamo semplicemente soli e non abbiamo nessuno con cui aprirci.
Portare fuori da noi il nostro dolore può essere, invece, estremamente catartico e soprattutto essere accompagnati da qualcuno che è lì per noi e con noi può essere un grande balsamo per le nostre ferite. Per esempio, la stanza di terapia può essere un luogo vivo e pulsante dove poterlo fare …
Ti invito, quindi, a provare provare e riprovare a non resistere al dolore: stai con quello che c’è, prova a trovarci un senso e raccontalo, fosse anche solo attraverso la scrittura ad un amico immaginario. Raccontare e raccontarci è un ottimo modo per tirare fuori qualcosa da noi senza lasciarlo sotto la sabbia.
A questo proposito, ti saluto proprio con uno dei pensieri che lo scrittore Matt Haig ha raccolto in uno dei suoi momenti difficili:
“Siamo sempre più grandi del dolore che proviamo. Sempre. Il dolore non è totale. Quando dici: <<Sto soffrendo>>, il dolore c’è e ci sei anche tu, ma tu sei sempre più grande. Perché tu ci sei anche senza il dolore, mentre il dolore è solo un prodotto di te stesso. E tu sopravvivrai e avrai modo di provare anche altre cose. (…) Appena ci accorgiamo di tutto lo spazio che abbiamo dentro, ecco una nuova prospettiva. Sì, c’è spazio per tanto dolore, ma c’è spazio anche per altre cose. E sì, il dolore è proprio un grandissimo stronzo, però senza volerlo ci mostra quanto spazio abbiamo dentro. Può addirittura espanderlo. E, in un momento futuro, permetterci di provare una quantità equivalente di gioia, speranza, amore, soddisfazione”.
Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.