Come il bambino “costruisce” la sua identità attraverso la relazione
Pensa ad un neonato che piange.
E immagina che insieme lui ci sia una mamma (o un papà) completamente sintonizzata sul suo pianto e, quindi, in grado di decifrarlo nel modo giusto e di soddisfare il bisogno che questo piccolo d’uomo sta manifestando attraverso le lacrime.
Immagina anche un piccolino di 2/3 anni che piange o che ha il broncio, e visualizza la sua mamma (o il suo papà) che gli dice qualcosa del tipo “sei tanto triste Tommaso, mi dispiace. Vieni qui che ti coccolo un pochino così la tua tristezza vola via”.
Ecco due esempi, facilmente rintracciabili nella vita di tutti i giorni, di funzione riflessiva.
Sembra un grosso parolone questo, no?! E ti dirò che sono stati scritti una marea di articoli, libri e ricerche su questa storia. E, come ti starai già dicendo, comprendere che vuol dire funzione riflessiva non è proprio una roba da poco, me ne rendo conto!
Voglio, però, cercare di “tradurre” per te tutto questo in parole semplici e concise, perché credo che sia una funzione determinante nella relazione con il tuo bambino. E, se ci fai caso, puoi sicuramente allenarti per esercitarla di più anche se, per certi versi, la possiedi già dentro di te.
Funzione riflessiva in pillole
La funzione riflessiva è una funzione mentale, una sorta di “strumento” della nostra mente.
E a che serve? Questa funzione ci permette di attribuire a noi stessi e a chi ci sta vicino degli stati mentali (cioè emozioni, pensieri, aspettative, credenze, desideri). E, nel momento in cui abbiamo più o meno chiaro cosa passa nella mente nostra o altrui, possiamo comportarci di conseguenza in maniera coerente.
Pensa all’esempio che ti ho fatto sopra: un bambino piange, la mamma legge e traduce il suo pianto attribuendogli un preciso significato e comportandosi di conseguenza per rispondere a quella comunicazione.
Per riuscire a fare questo, la mamma attiva in maniera per lo più automatica e inconsapevole la sua funzione riflessiva: cioè, si sintonizza sulla frequenza del suo bambino, e sente dentro di sé cosa lui prova.
Poi, identifica questa emozione dandole un nome e un significato preciso, come per esempio tristezza o, banalmente, fame per un neonato che non parla, e si mobilita per soddisfare il bisogno espresso attraverso quelle lacrime.
In sostanza, esercitare la funzione riflessiva prevede una sintonizzazione con lo stato mentale dell’altro, una “traduzione” di questo stato mentale, un’attribuzione di questo stato mentale all’altro (cioè trattare il proprio figlio come un essere agente attivo, che ha una mente e dei bisogni), una “riflessione” dello stesso stato mentale all’altro e, infine, un’azione.
Chiaro? Difficile? Ci sei o ti sei persa/o?!
Te lo ripeto ancora più terra terra: mio figlio piange, sento dentro di me che lui vive un’emozione spiacevole e provo a spiegarmela, dicendomi magari che ha fame. Allora, come spesso le neomamme fanno con i loro cuccioli, attribuisco al mio bambino quel preciso stato e glielo rimando tradotto: “oh picci picci, sei tanto affamato!”. Infine, mi mobilito per dargli un po’ di latte e via dicendo, quindi metto in atto un comportamento che ha lo scopo di soddisfare un dato bisogno del mio bambino.
Ma per fare tutto questo, si presuppone che io sia in grado in primis di entrare in contatto con me stessa e, poi, di entrare in relazione con mio figlio. E da dove arriva questa capacità? Beh, arriva dalla mia storia di attaccamento, cioè da se e quanto ho ricevuto a mia volta questa funzione da chi si è preso cura di me.
Attaccamento e funzione riflessiva
Ho già parlato in svariati post di cosa sia l’attaccamento e se sei interessata/o puoi andare a curiosare: ti basti sapere qui che funzione riflessiva e attaccamento camminano insieme, sono un po’ le due facce della stessa medaglia.
Se io ho una relazione di attaccamento sicura con i miei genitori è molto probabile che svilupperò una buona funzione riflessiva, perché i miei stessi genitori l’hanno sviluppata dalle loro relazioni di attaccamento e via dicendo.
Questo per dirti che la funzione riflessiva si costruisce: non è “in dotazione” dentro il sistema umano di default, ma si genera e costruisce proprio grazie all’interazione tra bambino e genitori fin dai primi attimi di vita.
E qui introduciamo un altro concetto importante: il bambino appena nasce non ha un vero e proprio senso di sé, perché la sua consapevolezza di sé e del mondo è esclusivamente sensoriale. Parte da stimoli fisici e conosce piano piano il mondo in maniera concreta.
Andrà a costruirsi nel tempo una mente, anche grazie all’interazione che avrà con mamma e papà: è un po’ come dire che all’inizio il bambino sente una morsa allo stomaco e piange, ma non è mica consapevole di aver bisogno del latte. Sarà la relazione ripetuta e sicura con la sua mamma che gli permetterà nel tempo di passare “da fuori a dentro”, cioè di internalizzare ciò che prova dandogli un contenitore di significato.
Stessa cosa vale per tutto ciò che ha a che vedere con la regolazione emotiva, di cui abbiamo già parlato in passato: il bambino impara ad identificare come emozione uno stato fisico interno sulla base dell’aiuto che gli forniscono i genitori.
E, ancora, oltre a riconoscere questo stato emotivo specifico, impara a regolarlo proprio perché prima il genitore lo ha fatto per lui.
Infatti, un signore molto importante di nome Fonagy, che ha studiato tantissimo questa funzione, ha dimostrato che il sistema di attaccamento è profondamente collegato con la funzione riflessiva: <<la rappresentazione che fa la madre dello stato affettivo del bambino viene rappresentata dal bambino e “mappata” tra le rappresentazioni del proprio sé. La discrepanza tra queste due rappresentazioni è utile in quanto provvede all’organizzazione del sé; in questo modo, il rispecchiamento del caregiver può diventare la rappresentazione di più alto livello dell’esperienza del bambino>> (Fonagy – Target, 2001, pp. 109-110).
In sintesi, devi pensare che da genitore all’inizio fai un po’ da specchio al tuo bambino, traducendo per lui ciò che lui stesso prova e ridandogli questo contenuto “masticato e digerito”, così per lui sarà più facile “metterlo dentro di sé” e costruire la sua esperienza.
Quindi, se la madre è in grado di riflettere al figlio i suoi stessi stati emotivi, sintonizzandosi con essi, gradualmente il bambino “farà sua” l’immagine di sé riflessa dalla madre e costruirà la sua identità in modo stabile.
Così, man mano che il bambino cresce, che i suoi processi maturativi diventano più complessi e le identificazioni si moltiplicano, egli diventerà sempre meno dipendente dal bisogno di avere indietro il suo sé riflesso.
Va da sé che, se non ho stabilito con mio figlio un attaccamento sicuro (perché a mia volta non ce l’ho avuto io…), non sarò sintonizzata con il mio bambino, non gli rifletterò i suoi stati mentali nel modo giusto e, quindi, è molto probabile che mio figlio non svilupperà un adeguato senso di sé e una buona funzione riflessiva.
Corsi e ricorsi storici, funziona un pochino così: involontariamente, passiamo ai nostri figli quello che abbiamo ricevuto e via dicendo. Certo, vista così immagino che la cosa sia molto demoralizzante: sembra tutto già scritto senza possibilità di replica, vero?
In realtà, la buona notizia è che puoi fare tanto!
Funzione riflessiva e psicoterapia
Potresti partire da una condizione di “svantaggio” per via della tua storia, ne abbiamo appena parlato. Questo, però, non significa che non c’è più nulla da fare, anzi!
Se deciderai di prenderti cura di te, andando a colmare ciò che è mancato, spezzerai le catene di una trasmissione trans generazionale di modelli di relazione malsani e complicati.
Uno strumento molto potente a tal proposito è proprio la psicoterapia: e cosa c’entra la psicoterapia con la funzione riflessiva? C’entra tanto e ancora di più!
C’entra perché il tuo terapeuta farà con te ciò che avrebbe dovuto fare il tuo genitore: stabilire un attaccamento sicuro, farti fare esperienza di una vera e profonda sintonizzazione emotiva, comprendere i tuoi stati mentali e ridarteli “digeriti” (quindi funzione riflessiva) in modo che, col tempo, tu possa poi imparare a farlo da sola/o, e poi a rifare la stessa cosa che hai ricevuto con tuo figlio.
La funzione riflessiva che viene “allenata” in terapia ci permette, infatti, di sentire e avere consapevolezza dei nostri stati mentali – intesi come desideri, sentimenti, credenze – ed è inevitabilmente connessa con le nostre capacità di insight ed empatia.
Inoltre, la capacità di mentalizzare ci permette di conoscere la mente dell’altro, di rappresentarcela, di crearci delle “mappe” sulle relazioni, e di interpretare il comportamento dell’altro (tra l’altro, tutti aspetti fondamentali di una buona relazione di attaccamento).
Se ci pensiamo, la funzione riflessiva del terapeuta assolve ad entrambe queste funzioni: da un lato, permette al cliente di conoscersi e ri-conoscersi attraverso ciò che il terapeuta gli rimanda di sé; dall’altro favorisce una rielaborazione e ri-costruzione dell’esperienza stessa della persona.
Possiamo, infine, dire che l’acquisizione di un’adeguata funzione riflessiva in terapia può interrompere la trasmissione disfunzionale dell’attaccamento e, quindi, puoi leggere la psicoterapia anche come uno strumento per “ripristinare” la tua funzione riflessiva.
Mi rendo conto che questo tema sia davvero molto complicato e mi auguro di averti passato almeno un pochino qualche informazione utile. Va da sé che, come genitore, puoi iniziare a lavorare su te stessa/o anche in maniera autonoma, magari leggendo qualche testo sulla genitorialità:
- “Genitori efficaci”, di Thomas Gordon.
- “L’educazione emotiva”, di Alberto Pellai.
- “Il genitore consapevole”, di John e Myla Kabat-Zinn.
- “Intelligenza emotiva per un figlio”, di John Gottman e Joan Declaire.
- “Attaccamento e funzione riflessiva”, di Mary Target e Peter Fonagy (testo per addetti ai lavori).
Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.