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"Nessuno mi capisce davvero!"

La trappola della deprivazione emotiva


In una delle tante giornate che vivi, ti ritrovi per caso a sentirti triste e da sola/o anche se hai tanta gente vicino.

Provi una sensazione di “inarrivabilità”, come se tra te e gli altri ci sia una distanza incolmabile e, dentro questa distanza, un grande vuoto.

La mancanza è una sensazione che conosci molto bene e, anche le rare volte che dici qualcosa di te, senti che non vieni capita/o. E, allora, ti dici che tanto è inutile e smetti proprio di provarci.

Ti tieni la tua tristezza, la tua solitudine interiore e il tuo vuoto, con la certezza che nulla mai cambierà.

Questo è parte del vissuto di una Persona che vive nella propria vita la deprivazione emotiva. E non è solo questione di vivere un qualcosa: ti parlo proprio del fatto che resti intrappolata/o dentro questa dinamica e, infatti, soccombi al tuo destino di solitudine la maggior parte delle volte.

Ma, andiamo a vedere che significa davvero deprivazione emotiva.

 

La trappola della deprivazione emotiva

 

Sentirsi deprivati emotivamente significa percepire una grande solitudine interiore, cioè la sensazione che nessuno sia disponibile per te ma, soprattutto, che nessuno possa mai comprenderti fino in fondo.

E, se è davvero così, l’emozione predominante che si prova è quella della tristezza, unita alla solitudine che deriva da questa condizione.

Dobbiamo, in primo luogo, imparare a differenziare cosa arriva da dentro di te in termini di emozioni e percezioni, e che cosa arriva dall’effettivo contatto con chi ti sta accanto. Questo per dire che, senza volerlo, chi vive la tragedia di questa trappola tende più o meno volutamente a relazionarsi agli altri rinforzandola.

Facciamo un esempio: sei sempre stata abituata/o a cavartela da sola/o, negando i tuoi bisogni o, comunque, tenendoteli per te. Ti succede un qualcosa di estremamente doloroso e tu stai malissimo. Una tua amicizia lo viene a sapere e ti chiede come va: in questo frangente tu hai la possibilità di parlare chiaramente di te e di come ti senti, ma paradossalmente non lo fai. O, magari, dici delle frasi “velate” che andrebbero lette tra le righe e che, puntualmente, il tuo amico non legge.

Allora dentro di te si rafforza la sensazione di non essere vista/o e compresa/o in quello che senti, con la conseguenza immediata che, continuando a parlare con questa Persona, devi il discorso mandando il messaggio che in qualche modo ce la fai a gestire la situazione.

Non so se ho reso l’idea, ma la deprivazione emotiva presuppone sicuramente una serie di esperienze relazionali disfunzionali che la vanno a creare ma, in seguito, spesso succede che si autoalimenta. Un po’ come dire che se ho provato la ferita profonda della solitudine, della mancanza di affetto e calore, dell’incomprensione mi approccerò alla mia vita sentendomi impotente e totalmente sfiduciata/o rispetto al fatto che qualcosa possa cambiare.

E’ come se qualsiasi tentativo che arriva da fuori non sia abbastanza di default e, in certi casi, questo può farti sentire ancora più delusa/o ed “esigente” nei confronti di chi ti sta accanto, come se avessi una sorta di “fame d’amore” insaziabile.

Il rischio di tutto questo è che farai vincere la distanza relazionale, sia se ti chiudi in te stessa/o, sia se diventi piena/o di pretese nei confronti degli altri che, come spesso sento dire, dovrebbero capirti anche e soprattutto oltre le parole. Non mi fraintendere, tutti vorremmo sentirci amati e compresi al primo guardo, ma la maggior parte delle volte questo non accade.

E non accade non perché siamo circondati da Persone inadeguate, ma perché la nostra natura umana è imperfetta, distratta, limitata ed è molto difficile che gli altri riescano a capirci senza che noi ci prendiamo la briga di mostrarci nei nostri bisogni e nei nostri vissuti.

Sentirsi deprivati, come vedremo tra poco, dipende dalle nostre esperienze di attaccamento e, per questo, parliamo di una condizione molto profonda, connaturata con la nostra identità e i nostri significati e, se radicata da troppo tempo, sarà difficilmente modificabile senza un aiuto esterno. Solo attraverso delle nuove esperienze di relazione sana avrai, infatti, la possibilità di “correggere” i vecchi modelli disfunzionali di relazione.  

 

Le origini della deprivazione e la sua attualizzazione

 

Da dove nasce questo senso di deprivazione profonda? Se senti questo stato di solitudine interiore perenne prova ad andare indietro nella tua storia di attaccamento. E’ molto probabile che ritroverai delle mancanze ben precise, nel senso che non si sono proprio create delle specifiche esperienze che vanno a caratterizzare quello che in gergo si definisce attaccamento sicuro.

Spesso, infatti, hai vissuto l’esperienza di un attaccamento “evitante”, dove sono assenti tre ingredienti fondamentali: il calore, l’empatia e la protezione.

Per calore intendiamo proprio l’affetto in senso stretto, fatto anche di coccole, abbracci, parole di tenerezza e amore. Soprattutto quando un bambino è piccolo, oltre che per tutta la nostra vita, il calore è un ingrediente fondamentale perché ci fa sentire speciali e amati nel concreto, e ci dà il messaggio chiaro che siamo importanti e meritevoli di amore.

L’empatia ha a che vedere con la capacità di sintonizzazione: una sana relazione di attaccamento presuppone, infatti, che il genitore riesca a decifrare lo stato mentale del suo bambino, a comprenderlo e a comunicare con lui sulla base di questo. Un po’ come dire che, da piccolo e poi anche dopo, se sei triste puoi fare l’esperienza di avere vicino qualcuno che sente la tua tristezza, la comprende e ti sta accanto permettendoti di prendertene cura.

La protezione ha a che vedere con la sensazione di sicurezza, con il fatto che nella tua relazione di attaccamento puoi sentire di avere qualcuno su cui contare emotivamente, in grado di supportarti e farti da guida se senti di averne bisogno.

Tutto questo non ha nulla a che vedere con la dipendenza che sarebbe, invece, un altro problema: in questo caso nessuno fa al posto tuo perché pensa che non sei in grado, ma ti protegge quando ti aspetta con le braccia aperte nel momento in cui sei confusa/o o impaurita/o per qualcosa e hai bisogno di “ricaricarti” un attimo.

In sostanza, possiamo dire che la deprivazione emotiva nasce da una sorta di mancanza nella soddisfazione dei tuoi bisogni emotivi fondamentali all’interno della tua relazione di attaccamento.

Come si trasforma tutto questo nelle esperienze di relazione che ti ritrovi a fare oggi nella tua vita?

Se hai la trappola della deprivazione potresti comportarti essenzialmente in tre modi: non ti leghi per niente agli altri (adottando la strategia dell’evitamento totale), vai a scegliere delle Persone fredde e distanzianti (che non faranno altro che rinforzare la tua trappola) o, per finire, tenderai a troncare i rapporti nel momento in cui, paradossalmente, senti che sono troppo “vicini” (perché è un’esperienza che ti sembra quasi “pericolosa”, perché essenzialmente sconosciuta).

 

Si può “guarire” dalla solitudine?

 

Se la prima domanda che ti poni è questa mi sento di risponderti di si. Ma, come ti ho anticipato qualche riga fa, non puoi “guarire dalla solitudine” se non decidi di guardarla davvero in faccia e passarci attraverso.

Intanto mi preme sottolineare che la solitudine non è un qualcosa da demonizzare a prescindere: ci sono tutta una serie di aspetti molto positivi e utili dell’esperienza della solitudine (raccoglimento, ascolto di sé, intimità) che nulla hanno a che vedere con la solitudine legata alla deprivazione emotiva.

Dando questo per scontato, andiamo a riflettere brevemente su cosa puoi fare per lavorare sulla tua trappola.

Come abbiamo già visto sopra, la tua caratteristica principale è quella di metterti una sorta di armatura del “va tutto bene” che, per forza di cose, fa sì che gli altri non ti possano dare ciò di cui hai bisogno.

Anzi, se ci fai caso, ti ritrovi la maggior parte delle volte ad essere tu quella/o che ascolta gli altri ed è sensibile ai bisogni emotivi altrui, quasi a compensare ciò che ti manca dandolo agli altri (e gli psicologi, forse, ne sanno qualcosa!).

Ironia a parte, il primo aspetto su cui voglio farti riflettere è proprio questo: quanto ti lasci avvicinare dagli altri? Quanto, cioè, ti metti in condizione di poter ricevere qualcosa dagli altri? Spesso questo non è per niente facile, proprio perché sei stata/o abituata/o a dare piuttosto che a ricevere e via dicendo.

Questo si lega, ovviamente, alla possibilità di non “scappare dall’amore”, cioè di non fuggire nel momento in cui senti che hai vicino qualcuno che ti vuole bene. Quanto puoi goderti la stima, l’affetto, il supporto di una Persona a te vicina? Quanto ti senti davvero meritevole di tutto ciò?

Ancora, se la tua modalità è quella di “esigere” dagli altri una comprensione che, per ovvi motivi, non sarà mai abbastanza, devi provare a riflettere su quanto questa modalità possa portarti, paradossalmente, a distanziarti ancora di più dagli altri. Come puoi trasformare la “protesta” e la rabbia in apertura e capacità di chiedere?

Infatti, un altro punto importante è legato al fatto che, nel momento in cui riesci ad avere accanto qualcuno che ti vuole bene, puoi imparare pian piano sia a mostrarti nei tuoi bisogni e nelle tue fragilità, sia a chiedere. Chiedere significa anche spiegare concretamente di cosa hai bisogno, cosa senti e come gli altri possono aiutarti. Di nuovo, è irrealistico pensare che gli altri debbano saperlo a prescindere e, se proprio devo dirtelo, questa convinzione è figlia della tua trappola.

Oppure, se invece ti trovi nella situazione di avere delle relazioni realmente fredde e distaccate, devi imparare a prendere consapevolezza del fatto che, di nuovo, è la tua trappola a portarti verso questo tipo di Persone. Allora, se pian piano ci fai caso, quanto puoi sentirti in grado di “fare una scrematura” rispetto alle relazioni malsane della tua vita?

Infine, componente fondamentale per lavorare sulla deprivazione emotiva, è necessario che inizi a guardare in faccia la tua storia, ad entrare in contatto profondo con quel bambino da qualche parte dentro di te che si sente solo, non compreso, triste, deprivato.

Si, hai capito bene: so che può essere una cosa molto dolorosa, ma è necessaria. Se tu stessa/o non impari ad ascoltare e prenderti cura dei bisogni del tuo bambino interiore chi lo farà per te? Solo se tocchi la tua ferita la puoi attraversare e, infine, lenire.

E, come ti dicevo prima, la psicoterapia è il luogo di relazione primario per fare questo, oltre ad essere davvero una nuova opportunità di relazione intima che può aiutarti a mettere in discussione i tuoi schemi di relazione precedenti, dandoti quasi una “seconda vita di relazione”.

 

Spero che questa riflessione sulla trappola della deprivazione emotiva ti abbia davvero permesso di sentirti riconosciuta/o in quello che vivi e che ti abbia dato degli spunti per prendertene cura. Se vuoi approfondire, ecco qualche titolo utile per farlo:

Reinventa la tua vita” di Jeffrey Young e Janet Klosko.

 - “Dentro la solitudine”, di Vittorio Castellazzi.

- “Relazioni ferite. Prendersi cura delle sofferenze nel rapporto Io-Tu”, di Maria Luisa Verlato e Maura Anfossi.

- “Attaccamento e legami. La costruzione della sicurezza”, di Grazia Attili.

- “Attaccamento e amore”, di Grazia Attili.

 

 

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.