Ascolto e comunicazione nella relazione genitori-figli
Quando si diventa genitori accade una cosa molto particolare: si smette di essere degli umani.
Non mi fraintendere, non ti voglio dire che nel momento in cui diventi genitore ti dimentichi di essere una Persona, ma accade di frequente che il diventare mamma e papà ci inserisca in una dimensione dove non si può più essere pienamente se stessi.
Mi spiego: quante volte ti capita di doverti “sacrificare” perché i bisogni del tuo bambino vengono prima dei tuoi?
Quante volte ti mordi la lingua perché “non è bene che mi veda arrabbiata/o”? Quante volte metti in secondo piano la tua vita di coppia per esercitare solo il ruolo genitoriale?
Questo per dirti che, nel momento in cui realizzi di essere un genitore, è come se ti mettessi un “mantello della responsabilità” e pretendessi di diventare un essere mitico o celeste che deve essere sempre perfetto, senza sbagliare mai o senza avere momenti di paura o fragilità.
L’errore che risiede in questo meccanismo è quello di perdere in termini di autenticità e immediatezza: di nuovo, non ti sto dicendo che sei diventata/o falsa/o da quando hai un figlio, ma che forse tendi a mettere da parte i tuoi sentimenti o i tuoi bisogni perché credi che questo sia l’unico modo per educare i tuoi figli in modo sano.
Il risultato, a volte, è quello di sentirsi svuotati, frustrati, sotto pressione, senza possibilità di sentirsi Persone “singole” con propri interessi e aspirazioni al di là dell’essere genitori. E, poi, quando ci si mette anche il carico da novanta dei capricci, delle richieste, delle difficoltà, degli impegni dei nostri figli la nostra accettazione viene messa a dura prova.
Non perché non accettiamo i nostri figli, ma proprio perché pensiamo che se siamo dei bravi genitori non possiamo sentire che a volte ne abbiamo abbastanza di loro, che non ne possiamo più di sopportare lagne, che siamo stanchi e vorremmo avere più tempo per noi stessi.
Ecco che, allora, una dimensione molto importante che potrebbe salvarci in questo caso è l’ascolto. Ascolto di che? Ti vedo già a chiederti cosa c’entra l’ascolto con la frustrazione che senti a volte, o con la pressione di dover essere un super genitore sempre e comunque.
Se impari ad ascoltare prima te stessa/o e poi i tuoi bambini qualcosa potrebbe cambiare: potresti scoprire che puoi accettare in maniera più piena tutto quello che senti, e anche quello che loro stessi sentono. Senza per forza dover far finta che non ci siano delle difficoltà o, magari, senza dover per forza usare la tua “autorità genitoriale” per risolvere i conflitti o i capricci vari.
Ascolto come legittimazione
Ascoltare significa, in poche parole, “prestare l’orecchio” ed è qualcosa di molto più profondo e complesso rispetto al sentire. Riesci ad ascoltare quando presti un’attenzione profonda ai segnali che arrivano sia da dentro di te che dall’esterno. Quindi, in questo senso, ascoltare non significa solo sentire il contenuto di una comunicazione, ma andare anche a leggere delle cose che vanno oltre le parole stesse.
Non sempre siamo bravi ad ascoltare davvero noi stessi. Figuriamoci gli altri. Se pensi al rapporto che hai con te stessa/o, potresti capire che a volte dimostri e manifesti un’emozione che, se ci fai attenzione, non è proprio quella “giusta”. Ti è mai capitato, per esempio, di mostrare rabbia per un qualcosa, quando invece l’emozione primaria era tristezza o paura? Ecco, è questo quello che intendo.
Non siamo abituati ad ascoltarci davvero e, di conseguenza, tendiamo a mostrare di noi degli aspetti che sono solo la punta dell’iceberg, magari quelli che sentiamo anche come meno “pericolosi” per noi e che sappiamo controllare meglio.
E, un po’ per ripetere lo stesso schema, soprattutto con i nostri figli siamo portati ad essere sbrigativi e, anche se non ce ne accorgiamo, a pensare di sapere già dove vogliono arrivare quando ci parlano, restando nella superficie della comunicazione. In questo modo, ci perdiamo quello che ci stanno dicendo davvero e, magari, ce la risolviamo dando dei consigli o, peggio ancora, dei giudizi o delle interpretazioni non richieste.
Il primo aspetto da considerare nel momento in cui vedi che il tuo bambino è spesso capriccioso o irascibile o se, per caso, noti che non risponde come vorresti se gli fai delle richieste specifiche è proprio quello dell’ascolto.
Stai ascoltando veramente tuo figlio? Stai andando oltre il contenuto di quel dato capriccio o di quella lagna ricorrente? E, ancora prima, stai ascoltando te stessa/o mentre sei davanti al tuo bambino?
Ascoltare vuol dire legittimare. Legittimare in primis te stessa/o e i tuoi sentimenti e, di conseguenza, anche quelli di tuo figlio. E legittimare ha a che fare con il dare valore e importanza: se ti ascolto davvero ti do, in sostanza, il diritto di esistere.
Parliamo, quindi, di un ascolto che deve partire dal cuore e non dalle orecchie. Di un ascolto che deve essere in grado di sentire quello che sente l’altro nel momento in cui sta comunicando con noi. E va da sé che puoi essere davvero sintonizzato con l’altro e con te stessa/o se, paradossalmente, ti fai da parte.
Puoi, cioè, ascoltare in modo efficace se ti concentri sull’altro e non su di te, se la smetti di giudicare, incasellare, trovare soluzioni al posto dell’altro. Non so se sei d’accordo, ma uno dei maggiori difetti nell’ascolto deriva proprio dalla difficoltà che il genitore ha di vedere suo figlio come una Persona indipendente da lui, come un essere umano separato in grado di poter scegliere cosa è meglio per se stesso (naturalmente in gradi diversi rispetto al livello di sviluppo).
Questo apre la strada alla fiducia e prepara il clima giusto per un ascolto efficace: un clima caldo, fatto anche di silenzio, dove l’altro può avere la certezza di essere accettato per quello che è e non in base a quello che dice. Dove l’altro sente di poter condividere un qualcosa ma, nello stesso tempo, di rimanere l’agente primario delle sue scelte e dei suoi comportamenti.
Tutto questo introduce ad un’abilità molto importante che si può senza dubbio imparare e migliorare, ma che è anche, di fatto, proprio un modo di essere: l’ascolto attivo.
L’ascolto attivo
Quando tuo figlio ti racconta, per esempio, che i suoi amichetti non l’hanno fatto giocare cosa fai? Inizi a criticarlo perché non si sa far valere? Provi a suggerirgli cosa fare? Tendi a spiegargli come mai i suoi amici possono non aver voglia di giocare con lui? Questi sono tutti “errori di ascolto” che siamo per natura portati a fare.
Prova, invece, a pensare a cosa potrebbe cambiare se la smetti di voler risolvere il suo problema e ti focalizzi, magari, sul dispiacere che sta provando, o sulla frustrazione, o sul senso di esclusione che ti sta portando. In questo caso, magari, tuo figlio si sentirà davvero compreso, accolto e accettato, a prescindere dal fatto che tu possa essere d’accordo o meno con i comportamenti che ha adottato o con le soluzioni che sceglierà di adottare per far fronte alla situazione.
Ascoltare in maniera attiva significa partecipare alla comunicazione verbale e non verbale dell’altro cercando di cogliere i significati emotivi che si celano dietro le parole e provando a rimandarglieli, facendo attenzione al feedback che ricevi e preparandoti a correggere il tiro se non hai azzeccato. Tutto questo, ovviamente, può essere possibile solo se impari a farti da parte e ti approcci al discorso con curiosità e genuino interesse, senza l’obiettivo di voler cambiare l’altro, giudicarlo o criticarlo.
L’ascolto attivo invita l’altro a raccontarsi con espressioni come “capisco, dimmi di più, poi?” che lasciano aperta la comunicazione e permettono la libera espressione di sé. E, ancora, l’ascolto attivo ti permette di incontrare davvero l’altro su un piano di grande intimità perché crea un clima di fiducia e accompagnamento che favorisce l’apertura e il dialogo.
Immagina tuo figlio di 3 anni che piange perché non trova più il suo peluche preferito: questa è una comunicazione di tipo non verbale e hai diversi modi per giocartela. Puoi andare dal classico “smettila di piangere o ti darò altri motivi per farlo”, passando per “solo le femminucce piangono”, fino ad arrivare al “mi dici perché piangi? Adesso mi sto arrabbiando!”. Cosa ottieni? Probabilmente che tuo figlio piangerà ancora più forte!
Se, invece, dici qualcosa del tipo “oh sei tanto triste in questo momento” noterai che il bambino smetterà improvvisamente di piangere: questo perché si sentirà compreso nella sua emozione del momento e, quindi, non avrà più bisogno di esasperarla.
In questo caso, non lo stai né criticando o giudicando, né gli stai dando tu una soluzione trovando il peluche al posto suo per farlo calmare, né stai moraleggiando su quanto non stia bene che un “bravo bambino” pianga. Qui stai solamente cogliendo la sua emozione nella maniera più genuina e immediata possibile, la stai accettando (anche se non è detto che tu possa sempre e comunque assecondarla …) e la stai legittimando anche a lui nel momento in cui gliela comunichi.
Gli stai, in sostanza, dicendo “guarda che sto capendo come stai e puoi sentirti come ti senti”.
Immagino che tutto questo ti possa sembrare, paradossalmente, difficile o, ancora peggio, artificioso, ma ti assicuro che se provi pian piano a metterlo in pratica nella tua vita potresti avere delle belle sorprese. Questa modalità di ascoltare, infatti, avvicina le Persone, non crea barriere inutili che spengono la comunicazione (diversi post fa ho fatto un articolo sulle barriere dalla comunicazione che ti invito a rileggere!).
Ed è una modalità che funziona per qualsiasi relazione tu abbia, proprio perché fa sentire l’altro non solo capito in quello che sente, ma accettato. Ti è mai capitato di sentirti più libera/o di esprimerti con quelle Persone da cui ti arriva un reale interesse e dalle quali, possibilmente, tu non ti senti giudicata/o o messa sotto esame?
L’ascolto attivo ha un effetto molto potente, ed è davvero una risorsa fondamentale per costruire relazioni di qualità.
I passi dell’ascolto
Immagino che se sei nuova/o a questi concetti tu ti possa sentire confusa/o o perplessa/o. Per questo, provo a metterti qui sotto una serie di “passi” utili per mettere in pratica l’ascolto nella tua vita.
1. Impara il linguaggio dell’accettazione.
Come già spiegato qualche riga fa, è importante che impari ad accettare sia i tuoi sentimenti che quelli di tuo figlio. Senza giudicarli o criticarli, ma prendendoli semplicemente per quello che sono. Questo ti permetterà di essere autentica/o e di non negare nessun aspetto della tua esperienza. Ciò non significa che devi essere d’accordo con tutto sempre e comunque, ma che puoi provare ad accettare anche senza condividere o assecondare.
2. Abbi fiducia in tuo figlio.
Un po’ in conseguenza del punto precedente, spesso ci ritroviamo a giudicare o moraleggiare proprio perché non crediamo che i nostri figli se la possano cavare da soli. Tendiamo, anche se non lo facciamo apposta, a volerci sostituire a loro risolvendo noi le loro difficoltà: invece, puoi ascoltare davvero solo se lasci libero l’altro di trarre le sue conclusioni e fare il suo percorso, avendo fiducia nel fatto che ce la può fare.
3. Esercita l’empatia.
Puoi esercitare un ascolto di qualità solo se impari a sintonizzarti con l’altro, andando oltre il mero contenuto delle parole e focalizzandoti sull’aspetto emotivo della comunicazione.
Questo non vuol dire diventare l’altro, ma provare a metterti nei suoi panni sentendo ciò che lui sente in quel dato momento. L’obiettivo diventa, quindi, “decifrare” i suoi stati d’animo e rimandarglieli facendolo sentire capito, non fermarsi a ciò che ti sta dicendo con le parole.
4. Chiarisci di chi è il problema.
Spesso determinati problemi nell’ascolto derivano dalla difficoltà a comprendere di chi è il problema.
Nel rapporto genitori-figli il problema potrebbe essere del genitore (nel caso in cui il figlio abbia dei comportamenti che non rispettano i bisogni del genitore), della relazione (entrambi non rispettano i reciproci bisogni e si genera un conflitto) o del figlio.
Ed è proprio in quest’ultimo caso che l’ascolto attivo si può rivelare potente e determinante: qui è il figlio a provare per qualche motivo un certo disagio, mentre il genitore sente che i suoi bisogni sono rispettati. E, proprio in una situazione in cui il genitore è libero da conflitti, può davvero mettersi al servizio del figlio facilitandolo con un ascolto attivo.
5. Metti in pratica l’ascolto attivo.
Come già visto, il genitore può essere facilitante per il figlio attraverso l’ascolto attivo proprio perché questo aiuta i figli a prendere coscienza dei loro sentimenti, ad avere meno paura delle emozioni, a sentirsi Persone autonome in grado di fare delle scelte, a sentirsi in relazione intima e profonda con i loro genitori.
Che dire? Questa veloce riflessione sull’ascolto finisce qui: spero che possa lasciarti un semino di fiducia rispetto al poterti sentire un genitore adeguato e, nello stesso tempo, autentico e centrato su tuo figlio.
Come sempre, ecco qualche titolo utile per te:
- “Le parole sono finestre (oppure muri)”, di Marshall Rosemberg.
- “Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia”, di Laura Boella.
- “Genitori efficaci”, di Thomas Gordon.
Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.