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Quando il corpo custodisce le ferite dell'anima

L'abuso sessuale nei bambini


Cercare di parlare di un argomento così vasto e soprattutto così “pericoloso” come quello dell’abuso appare un po’ complesso e forse anche un po’ sconveniente.

Fiumi di inchiostro sono già stati versati con l’intento di capire e spiegare le dinamiche di questo fenomeno, le sue modalità, le sue caratteristiche e non c’è certo bisogno dell’ennesima disquisizione sull’argomento.

Quello che vorrei fare qui con te oggi è semplicemente approfondire il più possibile non le caratteristiche dell’evento in sé, ormai già straconosciute, ma quelli che sono i meccanismi psichici che si attivano nella mente di chi è vittima di questo tipo di esperienze.

E non parliamo di vittime qualsiasi, né di un abuso qualsiasi: ci riferiremo, infatti, solo all’abuso sessuale e solo a quelle forme di abuso che hanno come protagonisti i bambini, Persone nelle quali capacità di giudizio e comprensione non sono del tutto sviluppate e che, quindi, non possiedono nemmeno difese così tanto evolute e sfaccettate per poterlo fronteggiare.

L’intento è quello di leggere il fenomeno sulla base dell’esperienza corporea, riflettendo su come, dall’esperienza del viversi in un “corpo violato” e del con-vivere con esso, possano scaturire particolari immagini di Sé e delle proprie relazioni.

 

Fenomenologia dell’abuso sessuale

 

Se andiamo a vedere qualche definizione, l’abuso “consiste nel coinvolgimento di soggetti immaturi e dipendenti in attività sessuali con assenza di completa consapevolezza e possibilità di scelta, in una violazione dei tabù familiari o delle differenze generazionali. (…) Tutte le condizioni di abuso incidono sullo sviluppo fisico e psicologico e sulla strutturazione della personalità, sulla relazione con la famiglia, sulla relazione con gli adulti al di fuori della famiglia, sulla relazione con i coetanei” (Montecchi 2005).

Da questa definizione emergono due concetti fondamentali ai fini di questa riflessione e, cioè, quello di impotenza e quello di “alterazione”: l’abuso avviene spesso in un contesto nel quale il bambino non è in grado di reagire e di opporsi, o perché, appunto, non totalmente consapevole della situazione, o perché bloccato in una spirale di ambivalenza e confusione.

Questo lo fa sentire in balia dell’abusante, non gli permette di trovare soluzioni adeguate e lo lascia immobile, impotente e senza via di scampo; di conseguenza, ecco che questo determina alterazioni a vari livelli, da un piano più individuale e psichico fino ad arrivare ad una compromissione molto grave in termini comportamentali e relazionali.

Secondo la maggior parte delle classificazioni che si ritrovano nei manuali, nell’abuso rientrano sia l’atto sessuale completo, sia comportamenti a valenza sessuale, sia l’utilizzo del bambino a scopi sessuali commerciali, il tutto in un contesto di maggiore o minore ripetitività e cronicità. E, anche se si tende a non “voler vedere” (forse perché questo fenomeno risveglia nell’immaginario personale fantasmi impensabili di morte e lacerazione totale), l’abuso è purtroppo molto diffuso.

Se andiamo a vedere cosa ci dicono i dati epidemiologici, emerge che c’è una prevalenza di abuso sessuale rispetto ad altre forme di maltrattamento messe in atto a danno di bambini, con un 80% di casi riguardanti bambine tra i 6 e i 12 anni, la maggior parte delle volte oggetto di relazioni incestuose padre-figlia o patrigno-figlia, dove quindi l’aggressore è un uomo nel 99% dei casi.

Nonostante i numeri parlino chiaro, è molto frequente riscontrare delle minimizzazioni o dei tentavi di rintracciare delle spiegazioni alternative di alcuni segni e segnali che il bambino abusato lancia a chi gli sta vicino: il problema di fondo è che, a parte dei casi davvero evidenti, non si trovano delle manifestazioni cliniche univoche e presenti solo in questo tipo di situazioni.

Come vedremo, per il bambino è molto più protettivo mostrare dei sintomi piuttosto che verbalizzare esattamente ciò che succede: proprio per questo motivo, da un punto di vista clinico le reazioni post-traumatiche a breve termine dopo un abuso possono essere facilmente scambiate per qualcos’altro.

 

I “segni” dell’abuso

 

Tra gli indicatori clinici maggiormente citati troviamo, infatti, disturbi del sonno e del comportamento alimentare, enuresi diurna/notturna, dolori addominali e/o cefalee a carattere perlopiù psicosomatico, paure immotivate e preoccupazioni insolite, improvvise esplosioni emotive, mancanza di fiducia negli altri, bassa stima di sé, isolamento sociale, aggressività auto ed etero diretta, reattività al contatto fisico, passività/inibizione del pensiero, oppositività o provocatorietà, regressione e comportamenti immaturi.

Come si può notare, questi sono indici molto vari e possono essere presenti in più quadri patologici e traumatici oltre che nell’abuso. In generale, le aree maggiormente colpite sono relative ai legami di attaccamento, all’adattamento e alle competenze sociali, ai problemi comportamentali, alle abilità cognitive e di problem solving. Quindi, come puoi ben vedere l’abuso sessuale ha, purtroppo, delle forti ripercussioni sulla sfera del Sé, della prospettiva futura e della relazione con il mondo.

Oltre le manifestazioni patologiche più generiche che abbiamo visto, esistono anche degli indicatori più specifici riguardo l’abuso, che vanno presi in considerazione prima di approfondire meglio le dinamiche psichiche che caratterizzano una situazione del genere. La letteratura esistente sull’argomento cita 4 dimensioni fondamentali che sintetizzano gli effetti psicopatologici dell’abuso, sia a livello cognitivo che emotivo. Queste dimensioni sono: la sessualizzazione traumatica, il tradimento, la stigmatizzazione e l’impotenza.

La sessualizzazione traumatica ha a che vedere con l’espressione dell’affettività: il bambino, cioè, percepisce di poter ottenere dall’adulto l’attenzione di cui ha bisogno attraverso forme ad essa non pertinenti, incoerenti sia rispetto alle caratteristiche della relazione, ma anche rispetto alle qualità emozionali di quest’ultima. In conseguenza di ciò, spesso il bambino si difende erotizzando le proprie relazioni, o ritenendo che questa sia la modalità adeguata per lo scambio affettivo.

Il tradimento si verifica quando un’aspettativa di cura non trova riscontro nell’agito quotidiano, o si alterna a disattenzione e sfruttamento. Questo alimenta nel bambino la mancanza di fiducia nei confronti degli altri, oltre a costruire un “senso di incomprensibilità”.

La stigmatizzazione si riferisce alle immagini di sé filtrate dai feed-back su ciò che è ritenuto normale nei rapporti con l’adulto (provenienti sia dallo stesso abusatore, sia spesso indirettamente dagli altri). La richiesta di complicità nel mantenere il segreto, l’omertà familiare, i piccoli ma pervasivi ricatti, il malcelato scandalo alla scoperta costituiscono ingredienti della tendenza all’auto attribuzione di colpa, del disprezzo di sé, della vergogna del bambino.

L’impotenza sta ad indicare il senso dell’invasione fisica e psicologica, la percezione della disparità di strumenti di contrattazione. La conseguenza più forte risiede nell’inefficacia personale, nella sensazione di essere vittima senza armi.

L’espressione comportamentale connessa a tali stati cognitivo-emozionali è, a volte, sovra-controllata (una sorta di anestesia protettiva), altre sotto controllata (esplosione della violenza).

Inoltre, altri indicatori che dovrebbero essere considerati fondamentali campanellini d’allarme sono la fissazione al trauma che si evidenzia nel gioco, nei racconti, nei comportamenti dei bambini e che rappresenta il tentativo, anche se mal riuscito, di elaborare e controllare una minaccia. Infine, è spesso presente una forte angoscia, che può andare ad inibire funzioni importanti come l’attenzione, le capacità di pensiero e di pianificazione.

 

Fermo immagine di un corpo abusato

 

Ho scelto di mettere la “lente di ingrandimento” sul corpo proprio perché è da una realtà corporea che l’abuso ha inizio, dai confini del corpo inizia questa violazione dell’intimità e della sacralità di una vita in via di sviluppo.

La prima lacerazione avviene proprio sulla fisicità “dell’essere-pelle” e diventa, poi, lacerazione anche psichica: odore, sensorialità, vista, udito passano dalla beatitudine della simbiosi primitiva con la mamma, all’esposizione più improvvisa, invadente e brutale che ci possa mai essere.  

Ed è proprio il corpo quello che subito rivela e parla, anche laddove il linguaggio resta muto: lo fa attraverso i segni della violenza e quelli della paura, attraverso un’alterazione, prima fisiologica e poi comportamentale, del suo funzionamento.

L’immagine dell’abuso è, quindi, quella di un corpo violato nel senso di un corpo non-rispettato, principalmente nelle sue potenzialità simbolico-rappresentative, cioè un corpo violato perché “confuso” dal linguaggio di una sessualità adulta invadente e pressante, ma soprattutto non compresa dall’apparato di pensiero infantile. Il ruolo di accudimento dell’adulto si ammanta così di confusione e il bambino vive un profondo isolamento, oltre ad una sensazione di impotenza sia fisica che mentale, perché l’adulto che doveva proteggerlo diventa improvvisamente il suo aguzzino.

In più, se l’adulto nega o minimizza l’accaduto, il bambino entra in confusione non riuscendo ad orientarsi, diviso tra le sue percezioni e l’indifferenza altrui: infatti, riuscire a rintracciare la causa di un evento, soprattutto se questo è drammatico, rappresenta un meccanismo mentale abituale che tranquillizza e aiuta ad affrontarlo, sia per il fatto che permette di anticipare l’evenienza di episodi simili, sia perché è legato alla credenza di poter superare l’evento stesso, basandosi sulle proprie aspettative di efficacia.

Se questo non avviene, ecco la prima rottura: la violazione del corpo diventa violazione e degradazione del simbolo, o meglio violazione di un significato che si sta costruendo e, di fronte alla minimizzazione del contesto, al silenzio ambivalente che regna sovrano dopo l’accaduto, al bambino non resta che chiudersi, rimanendo nella con-fusione di significati anomali che non riesce a mentalizzare e sentendosi impotente, nel senso di non-potere comprendere e agire.

E siccome, quando si è piccoli, la costruzione di significati avviene grazie alla relazione con le figure di riferimento, l’esperienza del non-detto che si verifica dopo l’abuso mette il bambino di fronte all’assenza di quel famoso contenimento: gli mostra la realtà crudele dell’essere solo, della non-presenza di un adulto in grado di proteggerlo.

Qui il bambino potrebbe sperimentare un senso di delusione e di rabbia, insieme al graduale scomparire della fiducia di base verso la figura di accudimento: l’immagine di Sé viene influenzata negativamente, proprio perché chi avrebbe dovuto proteggerla la aggredisce.   

Infatti, proprio perché il suo corpo diventa anche nudo e indifeso, rimanendo esposto alle azioni perverse adulte, questo genera nel bambino sentimenti di vergogna e di auto svalutazione. Dopo l’abuso la percezione che si ha è quella dell’essere come schiacciati, inglobati, mangiati da una forza più forte di qualsiasi altra, dalla quale non c’è scampo: prende il sopravvento l’impotenza di un corpo nudo alla vista e al tatto altrui, indifeso proprio e anche a causa della sua nudità.

Possiamo dire che i confini del pudore e della vergogna non vengono rispettati, proprio perché il bambino viene esposto troppo precocemente alla sua nudità, ma soprattutto a quella dell’altro, di un corpo adulto che non si conosce e la cui vista risulta traumatizzante. Il senso di pudore, forse ancora non del tutto sviluppato, viene umiliato e calpestato, il bambino si vergogna perché le sue istanze esibizionistiche, che sarebbero fondamentali per lo sviluppo di un sano narcisismo, sono state mortificate senza rimedio a causa dell’esposizione prematura

Quindi, di fronte alla confusione di cui si è detto, nel bambino, forse a scopo difensivo, si forma l’immagine di un corpo provocante e provocatore: sia ha un controllo maggiore di Sé pensando di essere aggrediti perché attivamente colpevoli, piuttosto che pensare di essere oggetto di una crudeltà gratuita e casuale. Il proprio corpo viene visto, allora, come fonte primaria di eccitazione e provocazione, si pensa che l’altro abusi perché provocato da comportamenti e movimenti inconsapevoli che elicitano il desiderio.

Il corpo del bambino diventa, quindi, colpevole: il bambino stesso si assume la responsabilità dell’accaduto, ed ecco emergere il senso di colpa e i sentimenti di autosvalutazione che tanto frequentemente fanno da sfondo in questi casi.

Possiamo dire che le conclusioni a cui giunge il bambino sulla responsabilità delle azioni abusanti provocano in lui emozioni specifiche: attribuire a se stesso la causa di ciò che accade induce una bassa autostima, un senso di vergogna, di colpa, di confusione. Ritenere i genitori all’origine del disagio spinge a provare sentimenti di rabbia, impedendogli di conciliare le immagini positive e negative che ha di loro.

Si attivano, quindi, pensieri di punizione e colpevolezza perché così l’aggressione trova una spiegazione, un simbolo, si direbbe quasi una giustificazione: quel “sono cattivo” che frulla nel pensiero di molti bambini senza colpa si fa scudo protettivo, aiuta forse a tollerare l’ambivalenza, ma diventa anche pericoloso e mortifero perché rappresenta un po’ il passaggio segreto che porta diretto alla disperazione depressiva. Infatti, nella letteratura clinica, la depressione appare una conseguenza frequentemente associata all’abuso sia in adolescenza che in età adulta.

Il corpo diventa allora anche un corpo difeso, cioè alterato per proteggersi dalle brecce traumatiche ricevute, e tenta di organizzarsi costituendo una sorta di falso Sé difensivo a scopi protettivi, che nasconde le proprie profondità per auto conservarsi, per paura di essere squartato di nuovo.

Convincendosi di essere colpevoli si è anche più compiacenti con la violenza altrui, la si accoglie dentro e la si assimila tramite identificazione; essa, nelle sue varie forme, può essere usata per negare sentimenti angosciosi di perdita o abbandono, per rendersi indipendenti dall’evento traumatico ma, soprattutto, per dominare la paura e liberarsi da quei sentimenti intollerabili di colpa e vergogna.

Avviene un passaggio dal mondo esterno a quello interno: l’aggressore e il suo senso di colpa vengono introiettati dal bambino, portandolo non solo ad agire come l’aggressore, ma a pensare come lui, anticipando i suoi desideri per paura di essere annientato. Questo è ciò che avviene nel famoso meccanismo dell’identificazione con l’aggressore, descritto da Anna Freud nel 1936, nel quale il bambino introietta qualcosa degli attributi dell’aggressione per esorcizzare l’angoscia stessa.

Adesso diventa sempre più “conveniente” passare da vittima a carnefice, da una posizione passiva ad una attiva, reiterare in una spirale drammatica la scena del trauma cambiandola nei suoi protagonisti principali. Sono il gioco, il comportamento, il linguaggio che più riflettono questo “passaggio di mano” e mostrano come la fissazione di un trauma resta, e come questo corpo estraneo si tramandi di padre in figlio simile ad un’epidemia contagiosa, magari con diverse modalità, ma, comunque, con il germe dell’in-elaborato che continua a crescere.

Spesso un’altra difesa usata molto comunemente è quella del diniego nella fantasia, dove l’Io del bambino si rifiuta di prendere conoscenza di una parte di realtà sgradevole e, così, dapprima si distacca dalla realtà, la nega sostituendo ciò che non desidera mediante la rappresentazione di uno stato di cose rovesciato. E se, attraverso questa formazione fantastica, la trasformazione riesce e il bambino viene reso insensibile alla parte di realtà in questione, è molto più probabile che non viva l’angoscia in maniera palese e devastante.

Inoltre, a livello intrapsichico il bambino rimane esposto a una condizione di scissione, in cui percepisce il genitore abusante in maniera non integrata, separando gli aspetti positivi da quelli negativi. Le parti cattive sono proiettate sul mondo e su figure esterne, vissute come cattive, pericolose e persecutorie, mentre le parti buone possono essere attribuite a se stesso, alla propria famiglia, o a altre figure idealizzate attivamente ricercate e attese.

 

Abbiamo visto come l’esperienza dell’abuso faccia sentire la sua voce non solo attraverso il corpo, ma anche attraverso i comportamenti e le credenze disfunzionali che genera dentro di noi. Questo apre, a mio avviso, degli scenari importanti sulla prevenzione e sull’utilità di ascoltare “davvero” i nostri bambini.

In un’ottica preventiva, infatti, è importante non solo che se ne parli ma, soprattutto, che gli adulti di riferimento per il bambino inizino a guardarlo “davvero” e ad ascoltarlo.

Non necessariamente attraverso le parole.

Questa triste panoramica sul mondo dell’abuso sessuale infantile finisce qui: spero che ti sia stata utile per stimolarti a stare accanto ai tuoi bambini senza minimizzare il problema, ma anche senza ingigantirlo.

 

Per concludere, qualche spunto se vuoi approfondire:

 

- “EMDR. Entrare nelle memorie per curare il trauma infantile”, di Elena Simonetta.

- “Oltre il silenzio. Come elaborare e superare il trauma dell’abuso sessuale subito nell’infanzia”, di Francesca Grosso e Valentina Cartei.

- “Un bambino è come un re. Come mamme e papà possono crescere bambini sicuri e prevenire gli abusi sessuali sui minori”, di Alberto Pellai.

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.