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Elaborazione del trauma

Come prendersi cura delle ferite dell'anima


Nei post precedenti siamo andati a vedere un po’ più da vicino che cos’è un trauma e come si manifesta.

Se ti ricordi, possono diventare traumatiche tutte quelle esperienze che sconvolgono l’equilibrio psicofisico della Persona, e che hanno un impatto talmente forte nella psiche individuale che non possono essere “digerite”.

Restano fissate nella memoria, intrappolate all’interno delle tue reti neurali senza la possibilità di essere liberate e, di conseguenza, non ti permettono di “mettere una pietra sopra” a ciò che è accaduto.

Questo può portarti a sviluppare dei sintomi o ad agire nel tuo presente come se fossi ancora minacciata/o dall’evento passato. Ti starai chiedendo, immagino, se ci può essere una via d’uscita per tutto questo, e la risposta è che hai buone probabilità di poter superare il tuo trauma, se persistono determinate condizioni.

E’ abbastanza logico, come già sottolineato nei post precedenti, che esistono situazioni più devastanti di altre, che impattano anche la tua identità in senso lato e che, quindi, potrebbero essere più difficili (ma non impossibili) da metabolizzare.

Non esiste una “ricetta magica” da applicare per farti superare un trauma, questo è poco ma sicuro. Esistono, pero, degli strumenti molto validi che possono darti una mano: alcuni possono rientrare nell’ambito delle tecniche di auto aiuto e servono nei casi in cui possiamo parlare di fattori di stress “leggeri”, o comunque che non sono invalidanti per la vita della Persona.

In altri casi (e purtroppo sono la maggior parte) è necessario rivolgersi ad un professionista che ti accompagnerà nel percorso di elaborazione in questione.

Un approccio terapeutico che nasce proprio per facilitare l’elaborazione di vissuti traumatici è la terapia EMDR.

 

Processi di elaborazione ed EMDR

 

La sigla EMDR sta per Eye Movement Desensibilization and Reprocessing, cioè Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari: come puoi vedere, il nome riassume già molto bene l’essenza di questo approccio al trauma.

Questo perché l’obiettivo del trattamento è proprio quello di andare a “neutralizzare” l’impatto emotivo che il trauma genera ancora dentro di te, e questo ti permette, poi, di creare nuovi significati positivi e adattivi. L’intervento congiunto di terapeuta e cliente, infatti, fa sì che il ricordo del trauma venga come “scongelato”, per poi essere “digerito” e messo in connessione con gli altri ricordi di vita.

Non mi perdo in spiegazioni specialistiche che lasciano il tempo che trovano per chi non è addetto ai lavori: il punto è che l’EMDR non fa altro che “facilitare” temporaneamente il tuo cervello nello svolgimento del suo naturale processo fisiologico di auto guarigione che il trauma ha messo fuori uso.

Una volta ripristinate le normali funzioni del sistema questa caratteristica del nostro cervello dovrebbe tornare a funzionare nel migliore dei modi: immagina che qualcosa dentro il tuo cervello si sia inceppato e che questa tecnica abbia la funzione di “sbloccare il meccanismo” per permettergli di tornare a lavorare come al solito.

E come fa a farlo?

È stato ormai dimostrato che la stimolazione bilaterale alternata, che tradotto vuol dire guidare gli occhi del paziente facendoli muovere da destra a sinistra, stimola a sua volta i due emisferi cerebrali favorendo l’elaborazione adattiva dell’informazione immagazzinata in memoria in maniera disfunzionale.

I 2 emisferi cerebrali hanno funzioni diverse e complementari a livello psicologico:  l’emisfero sinistro ha a che vedere con la parte più razionale di noi, e ci permette di avere una visione più analitica delle cose e di pianificare. L’emisfero destro, invece, è strettamente legato al nostro mondo emotivo, tende ad essere più globale nel modo di leggere la realtà ed ha la funziona di mantenere uno stato di allerta per individuare possibili pericoli interni e/o esterni.

L’EMDR, quindi, stimolando in modo alternato i 2 emisferi cerebrali, riattiva la comunicazione tra la rete positiva del sinistro e i contenuti negativi e ansiogeni eventualmente presenti del destro. In questo modo, si rielabora l’informazione legata all’esperienza traumatica perché si agirebbe sui meccanismi inerenti l’immagazzinamento della memoria.

Quello che, semplificando al minimo, si fa durante una seduta EMDR è richiamare alla memoria il ricordo traumatico (o frammenti di esso in base alla situazione specifica), focalizzando l’attenzione sugli elementi principali con cui un ricordo viene immagazzinato in memoria: immagine, emozione, sensazione fisica e pensiero.

Una volta che il ricordo traumatico è richiamato in memoria si parte con la desensibilizzazione usando i movimenti oculari: questa procedura ha la funzione di ridurre gradualmente il livello di attivazione che il ricordo porta con sé.

Una volta che il ricordo non causa più disagio nella Persona, si passa alla rielaborazione vera e propria, che consiste nel proseguire la stimolazione concentrandosi, però, su aspetti positivi legati all’immagine di sé in relazione all’evento traumatico.

Questa tecnica ha, a mio avviso, due importanti implicazioni: la prima è che l’assoluta protagonista di tutto il processo è la Persona stessa, sia perché deve restare cosciente per tutto il tempo della procedura, sia perché non è il terapeuta che “influenza” l’elaborazione, ma è il paziente stesso che, invitato a raccontare al terapeuta tutto quello che succede dentro di sé durante l’elaborazione, si prende la “libertà” e la fiducia di guardare in faccia le sue ferite e pian piano superarle.

La seconda implicazione del processo che ritengo molto importante è che questo strumento non fa altro che stimolare una facoltà già presente in modo innato in ciascuno di noi: non è, quindi, un intervento che “arriva da fuori”, ma tutto l’opposto. Stimola, cioè, la tendenza naturale dell’essere umano all’autodeterminazione positiva, e lo fa nel modo più discreto e neutro che ci possa essere.

Gli interventi (e le interpretazioni) del terapeuta sono, infatti, ridotti al minimo proprio perché il lavoro vero e proprio deve farlo il paziente: il terapeuta ha, certamente, la funzione di guidare il processo accertandosi che non ci siano intoppi e difficoltà, ma il “cambiamento” è del tutto a carico del sistema interno del paziente.

Questo per dire che è una tecnica del tutto opposta rispetto alle immagini classiche di passivizzazione e “manipolazione” che spesso costituiscono degli stereotipi errati rispetto al tipo di lavoro che fa uno psicologo.

Sicuramente in questo caso il professionista ha un ruolo fondamentale rispetto alla stabilizzazione: ti aiuta, cioè, a gestire in maniera più funzionale le “tempeste emotive” che possono verificarsi nella tua vita in relazione ai vissuti traumatici, e ti permette anche di guardare in faccia ciò che ti ha causato dolore con la “giusta distanza” in modo da non venire traumatizzata/o di nuovo.

Inoltre, il professionista facilita la concettualizzazione del caso che, tradotto, significa aiutarti a trovare dei “ponti emotivi” tra presente e passato, per andare a trovare sempre più connessioni utili per la tua elaborazione.

Come già detto più volte, infatti, ciò che sei oggi ha molto a che vedere con ciò che è successo ieri: e se non impari a fare questo “collegamento” continuerai a stare male senza capire perché, o ad adottare in automatico dei comportamenti più o meno nocivi per la tua vita e per le tue relazioni senza arrivare a comprendere che, forse, il tuo sistema non sta facendo altro che replicare la situazione traumatica che hai vissuto.

Per carità, se ti alleni puoi imparare da sola/o a conoscerti meglio e a comprendere la tua vita alla luce della tua storia personale, ma possiamo dire senza dubbio che questo approccio può aiutarti a “semplificare” le cose.

Ma, ti starai forse chiedendo, cosa posso fare io adesso per “avvicinare” il mio trauma prima ancora di rivolgermi ad uno psicologo?

 

Pillole di auto aiuto nella gestione del trauma

 

1. Metti in moto la tua consapevolezza.

 

Come già detto qualche riga fa, molto spesso ci muoviamo alla cieca. Non siamo minimamente consapevoli né di come ci sentiamo, né dei “copioni” che mettiamo in atto nella nostra vita. E, purtroppo, tendiamo a non farci domande credendo che questa sia la strategia più utile per non soffrire. In questo caso, mi dispiace dirlo, non funziona così.

Se soffri e fai finta di niente, o se senti che nella tua vita qualcosa “stona” ma scegli di non guardarlo, sei, ovviamente, libera/o di farlo: devi, però, sapere che così non arriverai al “nocciolo della questione”.

Come abbiamo già visto nei post precedenti, ci sono situazioni traumatiche paradossalmente anche molto complesse (terremoti, attentati e simili) che, però, sono circoscritte e ben individuabili e, cosa più importante, che non mettono a rischio la tua identità in toto.

Molto spesso, invece, viviamo dei traumi più di natura relazionale che, in apparenza, sono più soft ma che, ahimè, sono i più radicati dentro di noi perché vanno ad intaccare profondamente l’immagine che abbiamo di noi e del mondo in genere.

Sono questi i traumi che fanno, forse, più male e di cui siamo a volte anche meno consapevoli: ci fanno visita “per caso” attraverso un fobia, o quando siamo tristi senza motivo, o quando dubitiamo senza sosta della fedeltà del nostro partner in assenza di reali e fondati motivi.

Questo per farti capire come, per iniziare ad avvicinarti ad un vissuto traumatico, devi prima imparare a riconoscerlo.

 

2. Collega presente e passato.

 

In linea con il punto precedente, se hai imparato ad individuare cosa succede nel tuo presente, e con questo intendo come manifesti il tuo disagio, in che aspetti della vita ti senti bloccata/o, quanto spesso ti senti così e in quante aree della tua vita, puoi iniziare a “trovare i tuoi ponti”.

Una procedura usata spesso in EMDR è proprio quella di partire da un’emozione o da un pensiero negativo che fai su te stessa/o nel presente e “tirare fuori dal cappello” la prima volta che ti sei sentita/o così o che hai pensato quelle cose di te. Mi rendo conto che spiegata così questa procedura ti possa apparire laboriosa e difficile: ti assicuro che se ti concentri un attimo su come stai e da dove arriva quello che provi qualcosa si muoverà dentro di te.

Questo ti può servire non solo a fare chiarezza dentro di te, dando un po’ delle spiegazioni a come ti senti oggi, ma ti permette di andare ad individuare dei ricordi cardine che, molto probabilmente, hanno a che vedere con qualche situazione di sofferenza che non è stata elaborata dal tuo cervello. Questi ricordi che ancora oggi ti causano attivazione interna e/o disagio possono, per esempio, essere elaborati con l’aiuto di un professionista.

 

3. Impara a distanziarti.

 

Se hai vissuto un trauma è possibile che questo si ripresenti nella tua vita sottoforma di immagini, emozioni difficili, o pensieri spiacevoli. Un aspetto che può esserti utile nel breve periodo, ma che non è risolutivo, è trovare delle strategie di distanziamento che ti possano dare la possibilità di affrontare più serenamente il tuo presente.

E mi riferisco, per esempio, alle varie tecniche di rilassamento, alla mindfullness, all’immaginazione guidata: esistono una miriade di strumenti (di cui ti ho parlato in altri post e che, magari, andremo ad approfondire se ti interessa il discorso) che ti permettono di crearti una sorta di “kit di primo soccorso” per i momenti di crisi.

Attenzione però, lo ripeto per l’ennesima volta: condizione fondamentale per fare tutto ciò è essere seguiti e monitorati da un professionista.

Non pensare di poter elaborare i tuoi traumi da sola/o, potresti anche peggiore la situazione, stavolta non scherzo! Quindi, un conto è imparare a distaccarti da pensieri e/o emozioni stressanti in modo da vivere la tua vita più serenamente e rilassarti, un conto è pensare di usare queste strategie per elaborare i tuoi traumi.

 

Che dire? Questa piccola e veloce panoramica sulle possibilità esistenti per prenderti cura di te e dei tuoi traumi finisce qui. Ti lascio, come al solito, con qualche spunto di lettura utile:

 

- “Lasciare il passato nel passato. Tecniche di auto terapia con l’EMDR”, di Francine Shapiro.

- “Trauma e memoria. Una guida pratica per capire ed elaborare i ricordi traumatici”, di Peter Levine.

-  “Trauma e psicopatologia. Un approccio evolutivo-relazionale”, a cura di Vincenzo Caretti e Giuseppe Creparo.

 

 

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.