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"La verità è che non sono abbastanza"

Alla scoperta della trappola dell'Inadeguatezza


Hai mai provato cosa significa sentirti sbagliata/o? Essere convinta/o di non essere all’altezza? Pensare di non meritare l’attenzione e l’affetto degli altri? Forse ti sarà capitato di sentirti così qualche volta, magari dopo un fallimento o un rifiuto. Oppure, convivi costantemente con questo tipo di sensazioni: se è così, probabilmente hai strutturato dentro di te lo schema dell’inadeguatezza.

Ti dico volutamente “hai strutturato” non per sottolineare che la colpa è tua e che se ti senti così sei tu la causa del tuo male: quando ti dico che hai strutturato questo tipo di schema, voglio farti riflettere sul fatto che, probabilmente, questo è stato il modo migliore che in passato hai trovato per reagire a delle condizioni più o meno avverse. Ci torneremo tra un attimo.

Jeffrey Young e Janet Klosko, due psicologi americani di cui ti accennerò meglio più avanti, usano il termine “trappola” per definire lo schema dell’inadeguatezza e tanti altri. Parliamo proprio di “trappola” per porre l’attenzione sul fatto che tutti noi tendiamo a reiterare nel tempo degli schemi che abbiamo usato in passato per “cavarcela” in delle situazioni difficili. E siccome, in quel dato momento, quell’insieme di emozioni, convinzioni e comportamenti (definito, appunto, schema) ci ha aiutato a sopravvivere e adattarci nel migliore dei modi al nostro ambiente, non facciamo altro che ricrearlo e ripeterlo all’infinito.

Anche se ormai, da adulti, non è più funzionale comportarci in un dato modo. Anche se il pericolo non c’è più. Ed è qui che si nasconde la trappola: tendiamo a cadere nella stessa “rete” di schemi e atteggiamenti del passato che, però, oggi non ci aiutano, anzi influiscono in maniera negativa sulle nostre relazioni, le nostre performance, il nostro benessere in genere. Restiamo intrappolati e, spesso, non sappiamo né di essere in trappola né come uscirne.

Ecco come questi colleghi definiscono una “trappola”: <<le trappole determinano il nostro modo di pensare, di sentire, di agire e di entrare in relazione con gli altri. Suscitano sentimenti intensi di rabbia, tristezza e ansia. Anche quando sembra che abbiamo tutto ciò che è possibile desiderare – uno status sociale elevato, un matrimonio perfetto, il rispetto delle persone che ci stanno vicino, il successo professionale – siamo spesso incapaci di goderci la vita o di credere nei risultati che abbiamo raggiunto>>.

Ti torna? A me tanto, ne ho fatto esperienza anche io nella mia vita. Questa descrizione vale un po’ per tutta una serie di trappole di cui, ahimè, siamo spesso “portatori inconsapevoli” e, se vuoi, posso parlarti delle trappole più frequenti in altri articoli sul blog. Per il momento, stiamo su quella dell’inadeguatezza che, a mio avviso, è anche una delle più gettonate.

 

Fenomenologia dell’inadeguatezza

Adesso vorrei provare a descrivere cosa può nascondersi dietro la sensazione di inadeguatezza. Voglio far concentrare la tua attenzione sulle emozioni, le cognizioni e i comportamenti più frequenti in chi adotta questo schema nella vita: prima di continuare, però, rispondi tu. Non andare avanti nella lettura e, se credi di avere questa “trappola”, prova a scrivere o pensare alle convinzioni negative che ti fai su te stessa/o, alle emozioni che provi e al tuo modo di comportarti. Quando hai finito continua a leggere, in modo da poter vedere se puoi riconoscerti nella mia descrizione.

Fatto? Bene. Senza ombra di dubbio saranno venute fuori cose molto “allegre”, vero?

Ciò che caratterizza più di tutto l’inadeguatezza è la vergogna, emozione cardine in questo schema. Sia che ne siamo consapevoli, sia che per reazione ci comportiamo in maniera disinvolta e sicura, se abbiamo questo tipo di trappola nella nostra vita proviamo vergogna. Vergogna per ciò che siamo realmente, perché spesso siamo portati a metterci una maschera tentando di non farci “scoprire” nelle nostre brutture.

Vergogna per la nostra vita e le nostre relazioni, che di frequente tendiamo a “coprire” evitando di parlare di noi e del nostro privato. Vergogna per i nostri fallimenti e per le nostre cadute, perché di fatto pensiamo di essere gli unici a cadere.

Oltre alla vergona, potresti provare un senso di tristezza e abbattimento per quello che pensi di te, ma anche rabbia e frustrazione, spesso rivolti verso te stessa/o per la tua presunta incapacità di “reagire” al tuo stato. La tua insicurezza potrebbe portarti anche a sentire ansia dentro di te, che può manifestarsi, per esempio, sottoforma di agitazione al pensiero di dover parlare in pubblico, di doverti presentare a degli sconosciuti o di trovarti ad una festa tra amici.

Questo perché ciò che caratterizza questo tipo di trappola è una sorta di difetto del Sé: è come se non ti sentissi “in pace” con te stessa/o, come se ti mancasse sempre qualcosa, come se non potessi mai apprezzarti o sentire di valere. E questo qualcosa che manca non viene da fuori: parte da dentro, da una specie di “difettosità” che pensi di portarti dietro insieme al tuo corpo. Hai qualcosa di sbagliato, e per questo non puoi certo suscitare apprezzamenti o amore.

Hai la convizione che se davvero gli altri sapessero chi sei ti terrebbero alla larga, o ti senti un impostore sul posto di lavoro perché pensi di non meritare quel dato ruolo o quella data promozione (seppur meritata!). Nulla può convincerti del fatto che tu sei ok: perché tu non sei ok. Questa è proprio una certezza per te. “Non sono abbastanza”, “sono sbagliata/o”, “mi manca qualcosa”: queste solo alcune delle frasi che sento dirmi dai miei clienti in terapia.

Ti torna qualcosa in questa breve descrizione? Ti ritrovi? Se si, sei già a buon punto….anche solo per il fatto che ti riconosci delle debolezze e delle difficoltà (che, se avvicinate, possono diventare dei punti di forza non indifferenti, ricordatelo!).

In generale, queste sensazioni potrebbero essere accumunabili a ciò che, comunemente, definiamo bassa autostima. Ecco, si: bassa autostima. Secondo te sei nata/o così o il tuo modo di essere è il migliore che tu sia riuscita/o ad adottare per barcamenarti nel mare della vita? Il temperamento incide, certo. Ma credo che la risposta sia più la seconda. O, meglio, lo è secondo me.

 

Da dove arriva il “non sono abbastanza”

Come ho già detto all’inzio citando i miei due colleghi statunitensi, una trappola si sviluppa a partire da determinate esperienze che facciamo nel corso della nostra vita. Sono fermamente convinta di questo, e anche l’approccio psicoterapico in cui credo e che utilizzo nel mio lavoro rispecchia gli stessi principi. La verità è un po’ questa (ovviamente, non è Vangelo ma ha buone probabilità di avvicinarvisi!): potresti aver sviluppato il tuo “amato” senso di non essere abbastanza all’interno delle relazioni con le tue figure di riferimento, cioè mamma e/o papà.

Se hai fatto l’esperienza di essere sempre criticata/o, o umiliata/o, o non compresa/o e accolta/o nei tuoi bisogni emotivi fondamentali è molto probabile che ti sentirai inadeguata/o. Se nessuno ti ha fatto sentire voluta/o bene sempre e comunque, a prescindere da ciò che eri o che facevi, le probabilità che da grande non ti sentirai mai abbastanza saranno maggiori. Hai mai avuto la sensazione di non essere degna/o di amore e rispetto? Qualcuno ti ha fatto sentire che eri una delusione, che eri inutile, o ancora peggio cattiva/o? Se si, eccoci qui.

Esperienze di abuso, rifiuto, abbandono e simili possono dare vita ad uno schema del genere proprio perché il bambino dipende in tutto e per tutto dalle sue figure di riferimento: e se nemmeno i miei genitori mi hanno amato e rispettato vuol dire che sono proprio messa/o male, che sono proprio difettosa/o… no? In quei momenti, forse, pensavi che avessero ragione loro….e adesso sei tu stessa/o che pensi questo di te.

Non voglio né puntare il dito contro le figure genitoriali, né andare a trovare per forza un colpevole: il mio vuole essere uno spunto di riflessione sia per chi ha vissuto determinate esperienze nella vita e può iniziare a trovare delle connessioni utili con il suo passato (fare un lavoro di psicoterapia è imprescindibile però!), sia per chi si ritrova ad essere oggi genitore e può andare a comprendere cosa può fare di funzionale con i propri figli e cosa, invece, è meglio evitare.

Uso anche dei modi abbastanza diretti e a tratti ironici, ma qui di ironico non c’è proprio nulla. Ci sono dei piccoli grandi drammi quotidiani, che si incastrano nelle nostre memorie andando a forgiare le nostre identità. E, quindi, quanta responsabilità hai tu genitore nell’interrompere questo “circolo vizioso”?

Spesso, infatti, si tende a replicare in svariati modi la propria trappola con i figli: se, nel frattempo, non hai imparato a prenderti cura di te stesso e del Bambino fragile che è dentro di te, potresti involontariamente “trasmettere” gli aspetti critici e giudicanti che usi per trattare te stessa/o anche ai tuoi figli. E la storia riparte….Se, però, impari a riconoscere cosa provi oggi e quali strategie di coping hai usato un tempo, e usi ancora oggi, per far fronte al fatto che i tuoi bisogni primari non sono stati soddisfatti puoi intervenire per provare a cambiare le cose.

 

Le “strategie” per rispondere all’inadeguatezza

Partiamo dal presupposto che nella tua vita hai fatto il meglio che potevi fare per adattarti al tuo ambiente e per rispondere alle mancanze ricevute: le strategie che hai usato un tempo per adeguarti alla realtà, tutelando te stessa/o e la tua integrità, sono state estremamente funzionali. In poche parole, non avresti potuto fare di meglio. Quando sei un bambino indifeso c’è poco da dire o fare, devi “arrangiarti” per non soccombere.

Il problema si verifica, invece, oggi: continuando a ripetere le stesse strategie che hai usato un tempo, magari in assenza di una reale minaccia, otterrai degli effetti non proprio ottimali. E questo, oltre a creare potenziali difficoltà personali e in ambito lavorativo, si rivelerà estremamente dannoso in un ambito molto importante della vita, cioè le relazioni. Infatti, uno dei motivi più frequenti per cui si arriva in terapia è per un problema di relazione, soprattutto di coppia. Non mi dilungo troppo su questo perché a breve farò un articolo in merito.

Di fronte ad ogni trappola hai, perciò, 3 tipi di strategie da adottare: puoi arrenderti, puoi iniziare a praticare l’evitamento, o puoi fare l’esatto opposto di quello che sperimenti dentro di te.

Se ti arrendi al tuo schema ti comporterai in modo da confermarlo e riconfermarlo ogni volta: probabilmente ti sminuirai, ti farai trattare male dagli altri, ti demoralizzerai di fronte a critiche e rifiuti, non sarai assertivo. Non farai, cioè, nulla per “contrastare” in maniera adeguata questo schema.

Se, ancora, userai l’evitamento tenderai a chiuderti in te stesso per la paura di mostrarti agli altri, e con il terrore  che qualcuno si renda conto dell’essere “abominevole” che sei in realtà. Questo, però, non ti permetterà di avere sane relazioni sociali e affettive, andando a rinforzare lo schema del “sono sola/o perché non vado bene”.

Ultima, ma non meno importante, strategia di coping è l’ipercompensazione: reagisci al tuo profondo senso di inadeguatezza mostrando eccessiva sicurezza, arroganza, competitività, invidia, senso di grandiosità (in poche parole, il ritratto del comune narcisista). La debolezza e la fragilità saranno bandite dalla tua vita, con il risultato di suscitare negli altri antipatie e ostilità, oltre al fatto di portarti a “soffocare” la tua parte fragile invece di prendertene cura.

Quale strategia senti più attiva nella tua vita? Ti dico già che se usi l’ipercompensazione sarà molto difficile che tu te ne renda conto senza un lavoro di psicoterapia: molto probabilmente, è più facile che tu veda questa modalità di coping “in azione” negli altri.

 

3 Passi per “fare amicizia” con la tua trappola

L’intento di questo articolo è quello di metterti a conoscenza delle tue trappole e di darti degli spunti per aumentare la tua consapevolezza. Ci sono, ovviamente, delle azioni che puoi fare per migliorare la tua autostima, di cui ti parlerò in qualche altro post. Il concetto che vorrei ti arrivasse è che non puoi pensare di cambiare se prima non conosci e accetti te stessa/o.

Ciò significa iniziare a fare amicizia con le tue debolezze, conoscerle semplicemente. Siamo portati per natura ad evitare i problemi, a far finta che non esistano. O, se proprio non possiamo farne a meno, a cercare rimedi rapidi e indolori. Purtroppo la verità è che non funziona esattamente così: se avrai voglia di lavorare su te stessa/o e le tue trappole l’unico modo è starci.

La psicoterapia offre ottimi strumenti di lavoro per intervenire sulle difficoltà e, per essere efficace, lo fa in un modo che ti tocca nel profondo. Per cui, se pensi che applicando due “regolette” fai da te potrai superare le tue trappole sei molto fuori strada: il lavoro che dovrebbe essere fatto mette in campo emozioni profonde, antichi ricordi, riapre vecchie ferite….e non è certo tramite un articolo di blog che puoi fare tutto questo.

Intanto, però, posso darti qualche spunto su cui lavorare per iniziare a “metterti in contatto” con la parte di te che non si sente abbastanza. Ecco 3 passi utili per farlo.

 

1.     Inizia a comprendere il linguaggio della tua trappola.

Quando ti senti inadeguata/o, provi vergogna, o ti senti in ansia nei rapporti sociali chiediti per prima cosa quali sono le tue emozioni e prova a dare loro voce. C’è chi si limita a dare un nome a ciò che sente, trovando magari degli appellativi personali e unici, o chi ha bisogno di mettere per iscritto ciò che sente. Rimani un po’ con la tua emozione del momento senza fuggire (ti assicuro che non si muore!). Potresti anche provare a vedere dove senti nel corpo la tua emozione, in modo da ritrovare anche delle connessioni in questo senso.

Mentre sei nell’emozione, prova anche a dare voce ai “brutti pensieri” che fai su te stessa/o: cosa ti dici di te? Quali convinzioni negative hai rispetto alla tua persona? Quali frasi ripeti ogni giorno su te stessa/o e ciò che ti succede? Puoi associare delle situazioni di quando eri bambina/o nelle quali hai pensato la stessa cosa? Di nuovo, trova la tua modalità migliore di espressione: c’è chi si ferma alla riflessione interiore, chi ha bisogno di scrivere, chi disegna.

Infine, prova a fare caso ai tuoi comportamenti: che tipo di strategie di coping stai adottando in questo momento della tua vita? E, ancora, usi sempre la stessa modalità di reazione o ti rendi conto che tendi a cambiarla in base ai contesti e alle situazioni? Infine, nota quali sono gli effetti dei tuoi comportamenti dentro di te e  anche cosa il tuo modo di fare suscita secondo te negli altri.

 

2.    Metti sul piatto prove a favore e contro il tuo schema.

Dopo che hai sviscerato per bene come funzioni e come si manifesta la tua trappola (siamo unici, e anche le nostre trappole sono uniche nonostante abbiano delle componenti universali) prova a mettere a confronto tutti quegli aspetti della tua vita che confermano e “danno ragione” al tuo senso di inadeguatezza, cioè tutte le esperienze interne, situazionali e relazionali che confermano che non sei adeguata/o.

Nello stesso tempo, trova anche quelle “prove” che nel corso della tua vita potresti aver avuto in merito al fatto che non è del tutto vero che non sei ok. All’inizio questo potrebbe sembrarti molto difficile, anzi forse direttamente impossibile. Sei assolutamente certa/o che non esistano prove del fatto che vai bene: ok, non importa. Cerca di trovare anche cose piccole piccole, magari legate a un qualcosa che sai fare o ad una qualità che ti riconosci, che vanno a farti vedere che non sei da bocciare in toto.

 

3.    Fai dialogare la parte di te che crede che non sei ok e quella che fa il tifo per te.

Non avere paura di confrontarti con te stessa/o, apriti senza paura, sonda il terreno della tua vita, interrogati. Del resto, il primario rapporto che devi sempre tutelare e alimentare è proprio quello con te stessa/o: l’unico che, molto spesso, tendiamo invece ad ignorare. Vedi cosa vuole dirti la parte che ti rema contro e fai rispondere l’altra parte. L’obiettivo è arrivare ad un accordo. Di solito questo si raggiunge dopo un bel po’ di duro lavoro, ma se non inizi non ci arriverai mai!

 

Finisce qui la mia rapida panoramica sulla trappola dell’Inadeguatezza. Ti dico solo un’ultima cosa che può esserti utile: tra tutti i testi specialistici che sono stati scritti a riguardo, ce n’è uno per i non addetti ai lavori che reputo davvero molto utile e che sto usando come traccia mentale per questo mio articolo.

Il libro si chiama “Reinventa la tua vita”, e gli autori sono appunto i colleghi psicologi che ti ho citato qualche riga fa. E’ un manuale di auto aiuto utile per imparare ad individuare i tuoi schemi e ad adottare dei “piccoli” accorgimenti per smussarli, che potresti considerare come valido supporto per il tuo lavoro. Tutto questo, ripeto, non può minimamente sostituire una psicoterapia.

 

Sei pronta/o a lavorare sulla tua trappola?

                     

 

 

Un caldo benvenuto a chi è approdato per caso su questa pagina e a chi ci è arrivato di proposito, insieme ad un grosso arrivederci a chi vorrà tornare a trovarmi.